Raid, blitz e nodo ostaggi. Come può reagire Israele

Dopo lo choc, per Israele ora si prepara la reazione. Netanyahu ha convocato il gabinetto di guerra, ma il problema degli ostaggi rischia di essere un fattore fondamentale per la conduzione del conflitto

Raid, blitz e nodo ostaggi. Come può reagire Israele
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La reazione di Israele non si è fatta attendere. L'attacco di Hamas contro lo Stato ebraico ha portato a raid contro Gaza e ai movimenti delle forze di sicurezza impegnate a liberare i villaggi e kibbutz presi in ostaggio dai miliziani palestinesi. È l'operazione "Spade di ferro". E le Israel Defense Forces "stanno combattendo i terroristi palestinesi in territorio israeliano da 40 ore dall'inizio della guerra lanciata dal gruppo terroristico Hamas", come hanno detto gli stessi militari israeliani.

L'impressione però è che la reazione israeliana non sia ancora entrata nella fase culminante, e la reazione all'assalto di Hamas possa avere un nuovo e più importante sviluppo nelle prossime ore. Il motivo è legato principalmente a due grandi fattori: il trauma e la difficoltà delle potenziali operazioni.

Superare il trauma della sorpresa

Sotto il primo aspetto, quello che è apparso subito chiaro a molti osservatori è che Israele si sia fatto prendere alla sprovvista. Diviso al suo interno, probabilmente indebolito dalle spaccature politiche e forse anche impegnato su più fronti, specialmente i suoi servizi, Israele si è rivelato più fragile del previsto, con le sue debolezze che sono state ampiamente studiate e sfruttate dall'organizzazione che controlla Gaza. Il colpo ha quindi influito anche sulle capacità di reazione di Israele, tramortito da un attacco senza precedenti e soprattutto compiuto su più fronti, con più modalità e con diversi effetti.

Netanyahu considera il Paese in guerra

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ufficializzato lo stato di guerra e la possibilità che siano compiute "azioni militari significative". La decisione, votata dal gabinetto di sicurezza, lo rende conforme alla Legge 40 dello Stato di Israele, che obbliga la dichiarazione di entrata in guerra solo con l'approvazione dell'organo esecutivo. Una scelta che serve a Netanyahu per avere ampio margine di manovra e predisporre quindi una reazione non solo il più rapida possibile, ma anche modulata sulle difficoltà del momento, e per superare la fase dello shock.

Non solo raid

La complessità dell'attacco comporta la complessità della risposta. Al momento, i raid sulla Striscia di Gaza sono pesanti e letali, ma rappresentano un elemento che potrebbe non essere risolutivo in questo particolare conflitto. Questo tipo di azione militare dello Stato ebraico si è infatti rivelata efficace e soprattutto l'unica attuata nel momento in cui essa rappresentava la risposta al più "tradizionale" lancio di razzi. Quello che sta succedendo ora però è qualcosa di molto diverso, non solo compiuto su più livelli ma anche con un elemento che ha reso l'azione di Hamas molto più incisiva e anche dalla risposta molto più complessa: il rapimento dei cittadini israeliani.

Il pericolo dell'uso degli ostaggi

Le forze di sicurezza e di intelligence della stella di Davide hanno una lunga storia alle spalle di azioni per liberare gli ostaggi e per avere anche i corpi di chi ha perso la vita in attacchi o in operazione. È certo che anche in questo caso Israele farà di tutto per ottenere la liberazione delle persone sequestrate negli attacchi terroristici. Tuttavia, questo implica anche la difficoltà di scegliere opzioni belliche che mettano in serio pericolo la vita dei cittadini nelle mani di Hamas. Persone che non solo devono essere individuate, ma devono anche essere tenute in vita. E tutto questo passa anche dalle organizzazioni che al momento hanno questi prigionieri che possono diventare di certo delle fondamentali pedine di scambio per eventuali trattative per la liberazione di prigionieri palestinesi.

La Jihad islamica ha 30 prigionieri

Non tutti sono nelle mani di Hamas. Il segretario generale della Jihad islamica palestinese, Ziyad al-NakhalaJihad, ha detto che il suo gruppo al momento ha 30 ostaggi israeliani a Gaza e che questi "non torneranno a casa se non in uno scambio di prigionieri". Molti potrebbero essere date a gruppi affiliati, altri piccoli o poco conosciuti, e il timore è che questo renda necessario muoversi con cautela sia per timore che siano uccisi nei raid o nelle operazioni terrestri, sia che essi non siano usati per fini propagandistici.

Il contagio tra campi profughi e vicini

Un altro elemento a preoccupare Israele, come ricorda Guido Olimpio sul Corriere della Sera, è "lo spettro del contagio".

Il pericolo che dalla Cisgiordania ai vari campi profughi fino ad azioni nei Paesi vicini e soprattutto con il punto interrogativo di Hezbollah o delle milizie sciite in Siria, tutto quanto si attivi e si unisca per mettere in difficoltà Israele, provocando un'escalation che rischierebbe di mettere ulteriormente a nudo le difficoltà delle forze di sicurezza del Paese, impegnate a riprendere il controllo del territorio e portare in salvo centinaia di persone.

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