Il ritiro dei pasdaran, la campagna Usa e i raid mirati: cosa può succedere in Medio Oriente

L'Iran ha deciso di iniziare il ritiro degli ufficiali di alto rango dei pasdaran dalla Siria dopo numerosi raid israeliani contro le loro posizioni e l'annuncio dell'imminente risposta Usa all'attacco alla base in Giordania

Il ritiro dei pasdaran, la campagna Usa e i raid mirati: cosa può succedere in Medio Oriente
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Pressato dai raid israeliani sulle strutture dei pasdaran a Damasco e dall’imminente ritorsione statunitense per la morte di tre soldati americani in Giordania, l’Iran si trova costretto ad arretrare dalle sue posizioni. La televisione israeliana Kan ha riferito che Teheran ha iniziato a ridurre la presenza degli ufficiali di alto grado dei guardiani della Rivoluzione in Siria, nel contesto di una decisione che implicherebbe il far maggiore affidamento sulle milizie sciite locali.

Tra dicembre e gennaio, l’aviazione di Tel Aviv ha bombardato tre volte la capitale di Bashar al-Assad, prendendo di mira edifici utilizzati dai combattenti iraniani o per riunioni tra gli esponenti dei vari membri dell’”asse della resistenza”. I raid hanno provocato la morte di diversi pasdaran, tra cui il loro principale consigliere in Siria e stretto collaboratore del defunto generale Qasem Soleimani, Sayyed Razi Mousavi. L’ultimo attacco è avvenuto il 29 gennaio: tre missili hanno colpito un podere a sud di Damasco e, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, tra le sette vittime vi sarebbero anche dei soldati degli ayatollah.

Teheran non può rispondere direttamente a questi bombardamenti, perché significherebbe entrare in guerra sia con Israele, sia con gli Stati Uniti. La sua “vendetta” si è dunque concretizzata con gli attacchi missilistici del 16 gennaio, durante i quali sarebbe stato colpito un “quartier generale del Mossad” a Ebril, in Iraq. La morte di tre soldati americani stanziati nella base Tower 22 in Giordania ha però cambiato le carte in tavola, e non a favore della Repubblica islamica. Martedì 30 gennaio, il presidente Joe Biden ha annunciato di aver deciso quale sarà la risposta a questo attacco, sottolineando di ritenere l’Iran responsabile “nel senso che stanno fornendo le armi alle persone che lo hanno fatto”.

Al momento sono noti pochi dettagli dell’operazione, ma fonti dell’amministrazione hanno comunicato a Nbc News che sarà una vera e propria campagna che durerà diversi giorni. Per quanto riguarda gli obiettivi, il governo ha approvato dei pieni per una serie di attacchi contro target in Siria e Iraq, tra cui anche strutture e personale iraniano. Nei giorni scorsi, alcuni ufficiali Usa avevano considerato l’opzione di colpire direttamente il territorio della Repubblica islamica, ma secondo la maggior parte degli analisti questo non sarebbe avvenuto. “Penso che sia improbabile che prendano di mira direttamente l'Iran, ma ovviamente a questo punto la via più facile è prendere di mira le milizie filo-iraniane o altri punti della guardia rivoluzionaria in Iraq o in Siria”, ha affermato Merissa Khurma, direttrice del programma Medio Oriente al think tank Wilson Center. “Non mi sembra che la risposta sia colpire le basi in Iran”. Una posizione, questa, che ha trovato concordi molti membri di alto rango dell’esercito statunitense ancora attivi o in pensione.

Oltre ai bombardamenti, gli attacchi potranno configurarsi anche in operazioni segrete o cyber, con lo scopo di distruggere le capacità belliche dei pasdaran e dei loro proxy in modo da prevenire altri assalti contro le basi americane e ripristinare la deterrenza.

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