Sono trascorse una manciata di ore dall'attacco che l'Iran ha scagliato contro Israele. Un copione molto simile a quello dello scorso aprile che, nonostante gli annunci di Teheran sulla conclusione dello stesso, ora rimette la prossima mossa nelle mani di Israele. La Repubblica islamica ha lanciato contro lo Stato ebraico circa il doppio dei missili balistici rispetto al precedente attacco dello scorso aprile e sarà molto difficile che questa volta la risposta sia blanda: "L'Iran ha commesso un grosso errore stasera, e ne pagherà le conseguenze", ha annunciato il premier israeliano Benyamin Netanyahu al gabinetto di sicurezza.
Ma quale sarà la risposta di Tel Aviv? Difficile prevederne la cifra e gli obiettivi. Le strutture petrolifere iraniane sono nel mirino da tempo ma secondo il sito di notizie Axios che cita funzionari israeliani, altri probabili obiettivi sono il sistema di difesa aerea iraniano e personaggi di spicco del regime: e questa volta potrebbe toccare proprio ad Alì Khamenei, ora trinceratosi nel suo compound. Ma c'è un altro dettaglio importante: a differenza dello scorso aprile, gli Stati Uniti (in campagna elettorale) hanno dichiarato di stare lavorando con Israele per formulare la propria risposta: se ad aprile Biden aveva dichiarato di non voler vedere la situazione degenerare, l'attacco di ieri ha lasciato ben poche opzioni alla Casa Bianca di fronte al vecchio alleato.
La risposta di aprile e i prossimi obiettivi
Ad aprile, l'Iran aveva attaccato direttamente Israele con una raffica di missili e droni. Gli israeliani sferrarono un attacco di ritorno all'interno dell'Iran, colpendo un sistema radar vicino al luogo in cui Teheran sta sviluppando il suo programma nucleare: un segnale per Teheran che Israele è in grado di eludere le difese missilistiche iraniane e conosce la posizione precisa di obiettivi sensibili. Esattamente come è accaduto con i cercapersone di Hezbollah, non è detto che la strategia israeliana peschi necessariamente nell'immediato.
È possibile che nelle prossime settimane e mesi Israele mostri altre nuove strategie finimente preparate per mesi se non anni, comprese le armi informatiche: è di questo avviso Jonathan Schanzer, vicepresidente senior per la ricerca presso la Foundation for Defense of Democracies: “È molto probabile che Israele debba aumentare la pressione, aumentare il prezzo prima di poter diminuire la tensione”, afferma Schanzer. Senza poi dimenticare che l'arma più affilata in questo momento è il terrore e l'incertezza: la rappresaglia può giungere ovunque e in qualsiasi forma.
I rischi di escalation
I diplomatici americani e arabi ora temono la portata della risposta di Israele. Una delle principali preoccupazioni nella loro mente è che Israele possa usare l'attacco iraniano per rispondere colpendo all'interno dell'Iran, potenzialmente contro i suoi impianti nucleari. "Non c'è posto in Iran che il lungo braccio di Israele non possa raggiungere, e questo vale per l'intero Medio Oriente", aveva affermato il primo ministro israeliano durante il suo discorso alle Nazioni Unite la scorsa settimana.
Un attacco di simile portata certamente porterebbe alla guerra aperta con Teheran. Facendo ancora una volta un parallelo con lo scorso aprile, la risposta di Teheran fu "quasi" simbolica. Nei fatti, la vendetta vera è giunta a danno dei proxy molti mesi dopo, decimando Hezbollah e uccidendo Nasrallah. Ma non è detto che la risposta giunga dal cielo: si ritiene che Israele abbia condotto nel corso degli anni numerosi attacchi informatici in Iran, contro infrastrutture che spaziano dalle stazioni di servizio agli impianti industriali e nucleari, e un ripetersi di queste formule è considerato tra le possibili opzioni di ritorsione.
Qualsiasi attacco di questo tipo potrebbe interferire in aree altamente visibili come la produzione di energia o l'aviazione, anche civile. Meno probabile una risposta attraverso una covert operation: optare per operazioni segrete all'interno dell'Iran, tra cui l'assassinio di membri di alto rango dell'establishment, sembra meno probabile. E per almeno due ragioni: non resterebbero affatto "covert" e verrebbero meno all'intento che Israele ha in questo momento, ossia ripristinare la propria deterrenza regionale "firmando" la propria risposta.
Gli impianti nucleari
I primi a essere nel mirino sono questo tipo di infrastrutture. L'Iran gestisce una serie di siti che eseguono le diverse fasi del ciclo del combustibile nucleare: la Repubblica islamica ha dichiarato alcune di queste all'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA), che le ha sottoposte a una qualche forma di ispezione, sebbene l'Iran abbia ridotto gran parte dell'accesso ampliato che aveva consentito nei cinque anni successivi all'attuazione del Piano d'azione congiunto globale (JCPOA) nel 2016. Altri sviluppi evidenziano l'importanza di accedere a strutture che l'Iran non ha dichiarato all'AIEA. Nel 2018, ad esempio, l'AIEA è venuta a conoscenza di un sito a Turquzabad, vicino a Teheran, che era stato presumibilmente utilizzato per immagazzinare materiale e attrezzature nucleari.
Successivamente, l'AIEA ha identificato altri tre siti non dichiarati in cui potrebbero essersi verificate attività legate al nucleare: Lavisan-Shian, Varamin (nei pressi di Mobarakiyeh) e Marivan. A febbraio 2024, l'Agenzia aveva chiuso le sue indagini su Lavisan-Shian e Marivan (vicino ad Abadeh) ma non aveva risolto le questioni in sospeso relative a Turquzabad e Varamin a causa della mancanza di cooperazione da parte dell'Iran.
Delle indagini chiuse, l'AIEA ha deciso di non richiedere l'accesso a Lavisan-Shian dopo aver stabilito che non ci sarebbe stato alcun valore di verifica perché il sito era stato "sottoposto a un'ampia sanificazione e livellamento". Israele potrebbe, dunque, scegliere di colpire non i siti principali, ma quelli nel “limbo”, quasi a dimostrare la propria capacità di raggiungere impianti di cui si sa poco o nulla.
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