Ricorrono quest'anno i 470 anni dalla morte di Francesco Guicciardini, scrittore e politico fra i più insigni d'Italia e al quale è toccato un destino certamente particolare. Dopo anni, se non decenni, nei quali la sua figura è rimasta sottovalutata dagli storici e dagli studiosi, ha riacquisito un particolare appeal critico proprio in occasione del quinto centenario dalla nascita festeggiato nel 1983. In quella data ha avuto inizio una rivisitazione dell'opera di Guicciardini e un autentico recupero della sua figura all'interno del panorama culturale italiano degli anni a cavallo del XVI secolo.
Un trattamento insolito da parte dei ricercatori ma che si spiega con una sorta di duplice veste, in un certo senso profondamente contraddittoria, che ha visto il Guicciardini scrittore come figura particolarmente appartata e defilata all'ombra dei propri libri e dei propri studi, a dispetto del Guicciardini politico sempre in primo piano nella Firenze degli anni in cui visse e operò. Due volti dunque di una stessa medaglia che oggi sono oggetto di un'indagine approfondita condotta da Emanuele Cutinelli Rendina, direttore del Dipartimento di studi italiani all'Università di Strasburgo, che è autore del volume «Guicciardini» (Salerno editrice, pp. 326, 19,50 euro) nel quale questa doppia ma tutt'altro che ambigua personalità del Fiorentino è affrontata con estrema attenzione.
E ad attirare l'osservazione di Cutinelli Rendina è certo la veste di storiografo che Guicciardini assume come autore della Storia d'Italia, a tutt'oggi un caposaldo della nostra cultura non solo rinascimentale ma considerata addirittura un punto di svolta fondamentale della storiografia moderna. Ma non solo.
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