L'ex direttore del Sismi Nicolò Pollari e il suo braccio destro Pio Pompa, imputati per peculato nel processo davanti al gup di Perugia, non hanno «motivi per poter invocare il segreto di Stato». È quanto, in sostanza, sostiene il gup di Perugia Carla Giangamboni la quale pochi giorni fa, dopo aver ammesso la costituzione di parte civile per sette parti lese (magistrati, avvocati, politici, giornalisti, più l'associazione internazionale «Medel»), ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato investendo la Consulta.
«Si chiede a codesta Corte - conclude il giudice - di volere dichiarare che non spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri secretare, mediante conferma dell'opposizione del segreto da altri opposto, modi e forme dirette e indirette di finanziamento per la gestione del servizio da parte di Pio Pompa della sede di Sismi di via Nazionale a Roma, allorché il Servizio era retto da Nicolò Pollari».
Secondo i capi d'imputazione nell'arco di ben cinque anni (dal 2001 al 2005) Pompa, su input diPollari, avrebbe svolto una minuziosa attività di dossieraggio su una molteplicità di soggetti, accusati di voler delegittimare, con la loro azione, l'attività del premier (allora - come ora - Silvio Berlusconi).Furono così «monitorati» giuristi (una trentina) facenti capo a «Medel»; magistrati di punta, come Libero Mancuso (sette procedimenti davanti al Csm in quel periodo), politici scomodi (come Elio Veltri e Cesare Salvi), giornalisti ficcanaso.
Secondo il gup di Perugia, posto che «la disciplina del segreto di Stato involge il supremo interesse della sicurezza dello Stato nella sua personalità internazionale», viene ravvisata una «sostanziale diversità del contesto in cui il segreto di Stato è stato invocato». E infatti, «il capo di accusa attiene ad un'ipotesi di peculato continuato aggravato relativo all'appropriazione e all'indebito utilizzo, da parte degli imputati, di somme di denaro, materiali e risorse umane del Servizio, utilizzandoli per scopi palesemente diversi da quelli istituzionali», «per l'espletamento di un'attività sicuramente estranea ai compiti istituzionali del Sismi».
In sostanza, il segreto di Stato non può rappresentare una «esimente in bianco da spendere a piacimento e senza possibilità di verifica da parte dell'autorità giudiziaria»; né tantomeno costituire «una tutela indiscriminata delle esigenze di riserbo, in punto di modalità organizzative e operative del Servizio, soprattutto laddove vengano in considerazione condotte di singoli soggetti legati a vario titolo ai Servizi che integrino esse stesse reato ovvero abbiano avuto incidenza causale sui fatti costituenti reato».
La parola, a questo punto, passa alla Corte Costituzionale.
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