Ha ragione il ministro Galan, i Bronzi devono viaggiare

Le statue appartengono allo Stato italiano, non a Reggio Calabria. E mandarle in giro per il mondo sarebbe giusto. Oltre che redditizio

Ha ragione il ministro Galan, 
i Bronzi devono viaggiare

Non posso che ap­prezzare per la se­conda volta, dopo le sue impeccabili di­chi­arazioni sul Festi­val del Cinema di Ve­nezia, prevalente rispetto al duplica­to veltroniano di Roma, il ministro Galan per avere perentoriamemn­te dichiarato che i Bronzi­di Riace ap­partengono allo Stato che ne dispo­ne allo stesso modo di dipinti e scul­ture nelle pinacoteche e nei musei nazionali. Sembra un’affermazio­ne ovvia. Ma nel corso degli anni le pretese municipali e regionali, l’equivoco sulle proprietà (di cui cla­moroso esempio è stato l’inutile di­battito tra il ministero dei Beni Cul­t­urali e il Comune di Firenze sul Da­vide di Michelangelo) hanno creato molte incertezze, titubanze e prepo­tenze.

La storia è semplice. Nel 1972 i Bronzi vengono scoperti nel mare al largo di Riace. Dopo un restauro durato 8 anni (e che amplificò, pur sotto le cure del bravissimo Soprin­tendente Francesco Nicosia, le diffi­coltà dell’intervento compiuto a Fi­renze nei laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure) furono esposti al­la chet­ichella nel museo archeologi­co della città medicea. E furono mol­to visti e apprezzati pur senza pro­mozioni e campagne di stampa, e credo anche senza cataloghi. Il cre­scente clamore, un tam tam inarre­­stabile, determinò il caso, e il presi­dente della Repubblica Pertini chia­mò i due Bronzi al Quirinale. Fu un trionfo. Quasi soltanto per me an­nunciato, giacché nel 1972, in visita al Museo Nazionale di Reggio, per vedere le due tavolette di Antonello da Messina, un custode, chiedendo­mi una mancia di 3mila lire me li mostrò in una stanza dove erano sta­ti r­iparati a qualche giorno dalla sco­perta. Poi non ne sentii più parlare.

Passato quindi qualche anno e dopo la clamorosa rivelazione, le due meravigliose sculture ritorn­a­no a Reggio Calabria da dove non si sono mai più mosse. Mille i pretesti. Quelli politici e campanilistici so­prattutto, e quelli terroristici, soprat­tutto da parte della Sovrintendenza che motivava il rifiuto e fortificava le nevrosi ansiogene di amministra­z­ioni comunali e regionali argomen­tando che i Bronzi erano delicati e fragili. Una legittima valutazione ti­pica dei conservatori, che vale per alcune opere e non per altre. Vale, a esempio, per il Cristo morto di Man­t­egna e per alcune opere di Caravag­gio, di cui si nega il prestito per prete­stuose ragioni di conservazione. So­no evidenti bugie rispetto allo stato dei dipinti, ma sostenibili in nome della delicatezza di ogni capolavo­ro, e che meglio sarebbero argo­mentabili dicendo che alcune ope­re, come la Primavera di Botticelli o il Cristo morto di Mantegna, sono emblemi dei musei di appartenen­za. Una ragione difendibile, ma che in talune circostanze non è stata adottata neanche dal Louvre per la Gioconda, pur riconoscendone tut­ti l’inscindibile nesso.

Così, quando io nel 2001, allora Sottosegretario ai Beni Culturali, pensai al prestito dei Bronzi in Gre­cia in cambio dell’ Auriga di Delfi , ne­go­ziando allora lo scambio con il mi­nistro della Cultura greco, ci fu un’al­zata di scudi. Ciampi oppose un pro­grammatico veto; il ministro dei Beni Culturali, Giuliano Ur­bani, per non scontentare nes­suno propose che un Bronzo partisse e l’altro restasse a Reg­gio. Soluzioni cervellotiche e improbabili, come quelle pro­po­ste per un altro gruppo mi­rabile, i Bronzi di Cartoceto contesi tra Pergola, dove furono ritrovati, e Anco­na cui erano destinati. Io, con lo scrittore Pao­lo Volponi, allora de­putato del Partito co­munista, sostenni le ragioni di Pergola; ma, dopo la mia deci­sione, una volta usci­t­o dal ministero dei Be­ni Culturali fu proposto un bizzarro pendolarismo: sei mesi ad Ancona e sei mesi a Pergola. Una ridicola fol­lia.

Oggi, tornato alla carica il Diretto­re Generale Ma­rio Resca per la tem­poranea esportazione ed esposizio­ne in alcune capitali del mondo (New York, Pechino, Atene) dei Bronzi , l’insensato amore dei cala­bresi e delle loro autorità, e il terrore di essere defraudati, ha determina­to un’altra risposta negativa. Pole­miche, opposizione della Regione al prestito (senza titolo, non essen­done la Regione proprietaria), spon­da della nuova Sovrintendente per ribadire fragilità e inamovibilità dei Bronzi , e combattuta valutazione delle circostanze da parte del presi­dente della Regione Scopelliti che fu anche sindaco di Reggio, hanno determinato uno stallo e oggi, di nuovo, una reazione indignata alle semplici e ovvie considerazioni del ministro Galan: i Bronzi sono dello Stato.

E non veniteci a dire che sono fra­gili! Ogni opera d’arte, come ognu­no di noi, è fragile. Siamo esposti a rischi di incidenti, ma non per que­sto non viaggiamo, non ci muovia­mo. Un’amica italiana morta a 100 anni, a 95 ancora si lanciava col para­cadute. Mio pa­dre e mia madre sono più fragili dei Bronzi e si sposta­no. E nessuno di noi, come loro, è stato sott’acqua per 2400 anni. Pro­viamo a immaginare come ritrove­remmo dopo una così l­unga immer­sione il presidente Scopelliti o la So­printendente di Reggio. E come si spiega il continuo viaggiare del Sati­ro danz­ante di Mazara del Vallo nel­la vicina Sicilia?
Forse perché «balle­rino »? È anda­to a Roma, a Tokyo, a N e w York, è stato visto da milioni di per­sone, e nessuno può affermare, se non in malafede, che sia meno fragi­le e meglio conservato dei Bronzi di Riace.Solenni,intatti,integri,rispet­to al Satiro danzante , ferito. Forse l’amministrazione dei Beni cultura­li in-Sicilia è più spregiudicata e inco­sciente?

E la Regione Sicilia sottopo­n­e i suoi capolavori a rischi che la Re­gione Calabria non vuole correre? L’unica potestà sui Bronzi è quella del ministro, e la Regione, come si sa, proprio non essendo autonoma come la Regione Sicilia, in materia di tutela è subordinata allo Stato. È chiaro? Galan ha semplicemente af­fermato un principio indiscutibile, e solo in Calabria infondatamente messo in discussione.

Dunque, in ordine alle considera­zioni di Galan, la mia proposta all’ul­tima Bit fu di far partire, con tutte le misure di sicurezza, le assicurazio­ni e addirittura per via di terra e ac­qua (come fu per la Pietà di Miche­langelo in America) e non per via ae­rea, i due Bronzi , nella bassa (se non morta) stagione turistica della Cala­bria, tra la fine di ottobre e la fine di maggio, quando non più di 10mila persone li visitano (in un intero an­no, compresa la stagione alta, non sono più di 40mila: stanchezza dun­que, assuefazione, disagio, e anche in alcuni periodi il museo chiuso o in corso di sistemazione).

Quali siano le cause, il rilancio è evidente immaginando in Ameri­ca, in Grecia e in Cina un rinnovato e formidabile interesse che può arri­vare a coinvolgere un milione e mez­zo di persone. Facile calcolare che con un biglietto di 10 euro, lo Stato e anche la Regione, ristorata e risarci­ta dal danno temuto, possono incas­sare senza spese 15 milioni di euro in circa 6 mesi. Non è giusto? Non è logico? Non è conveniente? Chi può affermarlo? E con quali argo­menti? La fragilità, l’inamovibilità, la sottrazione alla Calabria? I Bronzi tornerebbero dopo sei mesi vincito­ri, con vantaggio di tutti e anche del­la Calabria che, invece di esibire o patire la prepotenza della ’ndran­gheta e della mafia, con insistente e inevitabile danno di immagine, po­trebbe mostrare il suo volto miglio­re e la testimonianza più alta della civiltà occidentale.

Due formidabili maschi latini (greci) che mostrerebbero (loro più giovani e moderni) un diverso spet­to del seduttore rispetto a quello del nostro premier. Ma anche nel loro caso, oltre alle insensate resistenze locali, c’è forse una Boccassini alla Sovrintendenza che limita la libertà erotica e artistica dei due Bronzi .
Senza ragione e in nome di principi e rischi infondati. Mi pare che siano evidenti i danni di queste posizioni, e plaudo al ministro che, come il bambino della favola, ha visto e di­chiarato che il re è nudo.

Come i Bronzi , appunto. E senza danno per nessuno, se non per i ciechi, o i cala­bresi miopi e ingannati.

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