«Ho compiuto 100 anni ma resto il boy-scout più giovane del mondo»

Forse Baden Powell farebbe volentieri una capatina nell'«al di qua» per stringergli la mano e augurargli «buona caccia». Perché di scout centenari, regolarmente iscritti alla sezione, probabilmente ve ne sono ben pochi in tutto il Globo. E in Italia, Aldo Rota deve essere rimasto l'unico. Emiliano di nascita e milanese d'adozione, Ambrogino d'Oro per i cento anni scoccati lo scorso 21 ottobre e lucido da far invidia a un trentenne, fino a due anni or sono Aldo Rota cantava gli inni degli esploratori in gruppo con Lupetti e Akela durante le celebrazioni di un altro «centenario»: quello del Corpo degli Scout creato in Gran Bretagna nel 1907.
Oggi è il Decano degli scout, ma come è cominciata la sua avventura?
«Il Corpo dei Giovani Esploratori (CNGEI) si era costituito in Italia nel 1912 e nel 1921, all'età di dodici anni, quale regalo per il compleanno chiesi ai miei genitori l'iscrizione negli scout a Reggio Emilia».
Ma poi arrivarono tempi duri per il sodalizio…
«Infatti. Nel 1924, quando la mia famiglia si trasferì a Milano, cominciò la vita difficile per i ragazzi con il “guidone”. Fino allo scioglimento voluto dal Fascismo il 31 marzo 1927, quando i giovani vennero fatti confluire nella Gil».
Quindi finì tutto?
«Per niente. Nacque la “Giungla silente”, ovvero il tenere vivi i contatti fra noi scout mediante scritti, incontri o, in taluni casi, escursioni clandestine. Ma soprattutto mantenendo sempre vivi gli insegnamenti del fondatore».
A proposito di insegnamenti: il motto «sii preparato» è stato d'aiuto nella sua esistenza?
«Direi proprio di sì. Se gli altri mi riconoscono un galantuomo è perché ho sempre mantenuto la parola data, ho agito in modo disinteressato nel prodigarmi per il prossimo e mi comporto con lealtà nei confronti dei miei simili. E poi mi ha aiutato anche in guerra».
In che senso?
«Nel 1930 partii per il servizio militare, arruolato nei bersaglieri. Ma la disciplina, il cameratismo, l'essere autosufficiente nelle varie situazioni, grazie allo scoutismo non mi pesarono. Neppure in guerra, quando venni richiamato nel 1941 per il fronte balcanico».
Insomma le ha dato una «marcia in più». Ha notato qualche differenza fra lo scoutismo dei suoi tempi e quello dei giorni nostri?
«Beh, noi eravamo più disciplinati e con l'uniforme sempre in perfetto ordine, mentre oggi si cura poco l'esteriorità. Ma trovo che la “promessa”, i valori e gli intendimenti siano i medesimi di allora».
E dopo la guerra?
«Ero dipendente del Comune di Milano quando nel 1945 il governatorato inglese mi chiamò per ricostituire la sezione CNGEI della nostra città. Provai una grande emozione, e mi misi di buona lena. Nel 1948 il Presidente Generale del Corpo mi conferì la medaglia al merito di primo grado, poi venni promosso Capo scout, Sub commissario e infine Commissario».


Cosa ne pensa della famosa battuta di Oscar Wilde sugli scout? Quella dei bambini e dei cretini, tanto per intenderci…
«Beh, fatti alla mano, direi che si è squalificato da solo…».
Allora «buona caccia» per i prossimi cent'anni.

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