"Ho messo a nudo un'età fragile in cui si riconoscono tutti"

La scrittrice ha vinto il Premio Strega: «Ci speravo. Penso che molti abbiano ritrovato un pezzo di sé nei vari personaggi»

La scrittrice  Donatella Di Pietrantonio, vincitrice della 78° edizione del Premio Strega con "L'età fragile" (Einaudi)
La scrittrice Donatella Di Pietrantonio, vincitrice della 78° edizione del Premio Strega con "L'età fragile" (Einaudi)
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Era già entrata in finale nel 2021 con Borgo Sud (Einaudi) e quest'anno ci sperava: è stata data per favorita a fasi alterne, ha prima vinto lo Strega Giovani e poi ce l'ha fatta anche con il sorso di liquore della 78^ edizione. La scrittrice abruzzese Donatella Di Pietrantonio con L'età fragile (Einaudi) ha conquistato, grazie ai suoi 189 voti su 644, lo Strega della sestina alla serata del 4 luglio a Villa Giulia. Dietro l'autrice de L'Arminuta, romanzo con cui Di Pietrantonio è esplosa nel 2017 (sempre Einaudi, tradotto in più di 30 Paesi, vincitore di Campiello, Napoli e Alassio), Dario Voltolini con Invernale (La nave di Teseo), 143 voti, Chiara Valerio, con Chi dice e chi tace (Sellerio), 138 voti, Raffaella Romagnolo con Aggiustare l'universo (Mondadori), 83 voti, Paolo Di Paolo con Romanzo senza umani (Feltrinelli), 66 voti e Tommaso Giartosio con Autobiogrammatica (minimum fax), 25 voti. Vince un romanzo che parte dal Covid per arrivare a femminicidio, ambiente e quindi a solitudine, violenza, montagna: ci sono una madre, Lucia, e una figlia, Amanda, un nonno forte e aspro come l'Appennino, un bosco segnato da un delitto dimenticato trent'anni prima.

Come ha vissuto lo Strega?

«Ho letto di tutto, ma ho cercato di non farmi intossicare né condizionare dai pronostici. Mi sono tenuta al riparo, sperandoci ma non contandoci».

Quale è stato il fattore X?

«Mi è sembrato di capire anche dai lettori che mi hanno assegnato lo Strega Giovani che ciascuno abbia trovato tra i personaggi del romanzo un pezzetto di sé e si sia riconosciuto. Mi ha colpito un ragazzo che mi ha detto: Mi sono ritrovato nel personaggio di Amanda, ma per la prima volta ho anche capito mia madre».

L'età fragile è solo una?

«Il titolo non si riferisce solo alla fragilità delle varie fasi della vita ma a quella epocale: al tempo della pandemia poi c'era un ulteriore fattore ad aggravare il senso di fragilità anche sociale, che riverbera con le fragilità dei vari personaggi. Avevo cominciato a scrivere pensando alla fragilità di Amanda ma poi anche gli altri personaggi mi mostravano il lato fragile: il vecchio nonno, patriarca in disarmo, e Lucia stessa, voce narrante, donna di mezza età, che corre dietro alle esigenze degli altri ma non trova mai lo spazio e il tempo per se stessa, per ascoltare la propria, di fragilità».

Come si è ritrovata a fare i conti con la descrizione di una ferocia omicida?

«Grazie al ricordo di un duplice femminicidio accaduto in Abruzzo nel 1997. Perché dare dopo tanti anni uno spazio al racconto, anche se tutto trasfigurato, di quel fatto? Perché mi interessava il meccanismo di rimozione operato dalla piccola comunità su quel fatto di sangue che all'epoca aveva sconvolto tutti: molto presto abbiamo smesso di nominarlo e sepolto sotto questa lastra di silenzio le vittime, l'assassino, la sopravvissuta. Come opera una rimozione collettiva? La mia risposta è che quel delitto contraddiceva totalmente la rappresentazione che noi ci diamo dei nostri luoghi come posti belli e posti sicuri. Nel momento in cui se ne svela la falsità, un riparo possibile è non parlare più di ciò che ce ne ha rivelato l'infondatezza».

Mai come oggi si parla di femminicidi e insieme di femminismi.

«Viviamo all'interno di una grande complessità, stratificata: negli strati alti il dibattito è molto evoluto, progredito, mentre dalla parte opposta permangono zone molto più in ombra della società, dove non riusciamo a penetrare con quello stesso dibattito con il nostro linguaggio e con la nostra consapevolezza. Questo è un grande problema: proprio dove più le parole dovrebbero essere ascoltate, non arrivano».

Lei scrive precisamente di Abruzzo e di Appennino eppure tutti ci si riconoscono. Come è possibile?

«Lo sforzo è di riportare un particolare con ambizione di universalità: che dal punto di vista del luogo sia l'Abruzzo a me interessa fino a un certo punto. Potrebbe essere Umbria o una valle alpina. Mi interessa la dinamica della piccola collettività. Perché tutti noi, anche chi vive in città, abbiamo una parentela, una discendenza, una figliolanza dalla provincia e poi perché comunque la piccola comunità è una cellula che ritroviamo nel quartiere o in un luogo di lavoro. Locale sì, ma non localistico. Locale è una parte di universale, localistico è ristretto».

Il primo romanzo a cinquant'anni. Si è pentita di non aver esordito prima?

«Non ci ho creduto abbastanza, ma non so se lo rimpiango: mentre scrivevo ma non pubblicavo dentro di me avveniva una maturazione di temi e di strumenti tecnici, in

solitudine, perché lo scrittore è solo ed è un solitario, ma anche leggendo. Da Ágota Kristóf ad esempio ho capito l'inutilità delle strutture sovrabbondanti che usavo prima e per cui, forse, nessuno mi avrebbe pubblicato.

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