Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica
«Io di offerte ad Alleanza nazionale ne ho fatte più d’una nel corso degli anni. Via telefono e per iscritto. Sono arrivato a proporre gran belle cifre, più di un milione di euro per quell’appartamento lì ma il partito non mi ha mai risposto. Poi, quando ho visto che nell’immobile avevano cominciato a fare i lavori, me ne sono fatto una ragione».
Chi parla è un cittadino residente da anni nel Principato di Monaco. Per motivi professionali pretende la garanzia dell’anonimato (il colloquio è stato comunque registrato dal Giornale) ed è una delle persone che dal 2000 al 2006 s’è fatta avanti per comprare, o in subordine prendere in affitto, la casa della contessa Colleoni, ereditata da An, venduta per soli 300mila euro a una società off-shore, e in questi giorni nella disponibilità del «cognato» di Fini che ci abita pagando un canone a tutt’oggi sconosciuto.
A quando risale il suo primo contatto con An?
«Son passati parecchi anni. Comunque... credo fosse il 2000, massimo i primi mesi del 2001».
Come andò?
«Andò che l’appartamento si liberò a causa del decesso della proprietaria. Lo apprendemmo allorquando a Montecarlo si materializzarono alcuni esponenti del partito Alleanza nazionale che erano saliti da Roma per prendere possesso dell’immobile che, dunque, scoprimmo esser stato ereditato dal partito».
Conferma, comunque, che era il 2000.
«Certo. Fra le persone di An che, a più riprese, almeno due o tre volte, si fecero vedere a palazzo Milton (nome dello stabile al 14 di Boulevard Princesse Charlotte, ndr) c’era sicuramente questo onorevole Lamorte e con lui c’era una signora e altri del partito arrivati dalla Liguria. Il nome dell’onorevole me lo ricordo bene perché era particolare, mi rimase impresso. Ho ancora il suo biglietto da visita che mi passò dopo una stretta di mano».
Che cosa le disse Lamorte?
«Che l’appartamento era stato donato al partito da una simpatizzante scomparsa pochi mesi prima, che l’avrebbero fatto gestire dall’amministratore del palazzo, che sarebbero seguiti dei lavori di ristrutturazione. Cose di prammatica. Ricordo che subito buttai lì una proposta del tipo... “se decidete di vendere fatecelo sapere perché quei 75 metri quadrati (65 metri coperti più terrazzo) in Boulevard Princesse Charlotte a noi interessano molto”».
Buttò lì anche una cifra?
«No, la prima volta no. Ma nei contatti successivi assolutamente sì».
Si può sapere di quanto fu la prima offerta?
«Parliamo, all’incirca, di diecimila euro a metro quadrato, un prezzo leggermente più interessante di quelle che erano le stime di mercato di allora. Che poi, con gli anni, lievitò fino al milione di euro. Ciclicamente facevamo sapere, con telefonate e note scritte al partito, che eravamo anche disposti a salire...».
E le risposte furono sempre negative.
«Sempre. Nel senso che prendevano atto ed evitavano di darci risposte. Da Roma ci dicevano che ci avrebbero pensato, che si dovevano riunire, che non sapevano ancora cosa ne sarebbe stato del bene ereditato. Scuse su scuse. Prendevano tempo, rimandavano in continuazione. Addirittura alla fine, e parliamo dei primi mesi del 2008, ci affidammo a un amico, che conosceva un pezzo grosso di An, il quale fece arrivare il messaggio che se avessero deciso di alienare il bene, noi avremmo potuto mettere sul piatto anche un milione e mezzo».
L’ultimo contatto «serio» col partito, a Roma, di quand’è?
«Siamo a fine 2005, inizio 2006. Chiamavo, chiedevo lo stato dell’arte, se lo vendete fatecelo sapere. Sempre la stessa risposta: no, al momento non lo vendiamo».
Quanto vale, in questo momento, l’appartamento occupato da Giancarlo Tulliani?
«Secondo me fra i 20 e i 30mila euro al metro quadrato. Se è ristrutturato, ovviamente, trentamila li vale tutti».
È ristrutturato...
«Sì, certo. La proprietà dell’appartamento è di una Ltd. E qui a Monaco tutti sanno che vuol dire una società del genere, ovvero una off-shore i cui veri soci non verranno mai fuori. In questa veste a Montecarlo non si paga il nove per cento perché si è considerati società morale».
E lei quando ha visto scritto Tulliani sul citofono cos’ha pensato?
«Io personalmente niente perché non seguo tantissimo la politica italiana. Me lo hanno fatto notare altri che il cognome sul citofono corrispondeva a quello della moglie, della compagna, non so... del presidente Fini. A dirla tutta io Gianfranco Fini l’ho visto di persona nel palazzo, era in compagnia di una bella ragazza bionda, vestita molto bene, li ho incrociati nell’androne».
Che periodo era?
«Allora, era qualche mese fa, intorno a Natale, stavano ancora facendo i lavori nell’appartamento della contessa che anche io avevo visionato in precedenza quando vennero per la prima volta quelli
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