Houellebecq aveva previsto i disordini

In «Piattaforma», del 2001, il romanziere racconta una Francia prossima alla guerra civile, con uno Chirac incapace e una sinistra malata di buonismo

Antonio Armano

Sconfitto sulla carta, Michel Houellebecq si prende una rivincita nella realtà. Se lo scrittore francese è stato penalizzato nella finale del più prestigioso premio letterario d’Oltralpe, il «Goncourt», ora potrà dire almeno di avere previsto la banlieue in fiamme. In Piattaforma, pubblicato in Francia nel 2001 (in Italia è edito da Bompiani), il rabdomantico romanziere non soltanto anticipa l’11 settembre, raccontando un attentato di integralisti islamici che, nel finale, costa la vita a Valérie, compagna del protagonista. Ma prefigura anche le periferie in preda a uno stato endemico di guerriglia.
L’azienda dove Valérie lavora si trova nella periferia di Parigi, vicino all’aeroporto di Orly, in un quartiere dove ogni settimana si verificano «assalti ad autobus, automezzi della polizia, camion dei pompieri». E dove è «praticamente impossibile tenere conto» delle aggressioni alle persone. Tanto che un manager, amico di Valérie, uscendo dal lavoro e guardando la «babele di villette a schiera, centri commerciali, svincoli autostradali e grattacieli», nota che in ufficio si vive come «bestie da soma ben pasciute». Mentre all’esterno ci sono «i predatori, la vita selvaggia».
Un sera il protagonista, che si chiama Michel come l’autore, entra nell’azienda all’orario di chiusura e vede che le impiegate sono tutte su Internet impegnate a fare la spesa: «è più sicuro: appena escono dall’ufficio vanno direttamente a barricarsi in casa e aspettano che arrivi il fattorino». Nonostante le precauzioni, una collega viene violentata, forse da una «banda di antillesi», sulla linea più pericolosa della metropolitana.
E verso la fine del romanzo, leggiamo che «la psicosi non diminuì, anzi, rischiò di aumentare. Sui giornali si leggevano ormai quotidianamente notizie di insegnanti accoltellati, maestre violentate, autopompe dei vigili del fuoco assaltate a colpi di bombe Molotov, minorati buttati giù dal treno perché avevano guardato male il capo di qualche banda. Le Figaro ci sguazzava: leggendolo ogni giorno si aveva praticamente la sensazione d’un inarrestabile slittamento del Paese verso la guerra civile». La risposta della politica è desolante: il presidente Jacques Chirac, con «quella sua incrollabile aria da coglione, stava diventando un attentato all’immagine del Paese»; mentre la sinistra non è immune da sbandate buoniste. Come quando i suoi editorialisti, su L’Express, dicono che «la violenza dei giovani nelle periferie era una richiesta d’aiuto». Periferie che per l’Express «houellebecqiano» sono un «mosaico di popoli e razze, venute con le loro tradizioni e le loro convinzioni nel nostro Paese per forgiarvi nuove culture e reinventare l’arte del vivere insieme». Articoli che fanno perdere le elezioni.
Al contrario, nel quartiere dove vivono Michel e Valérie, tra Place d’Italie e la Porte de Choisy, ormai diventato la «Chinatown» di Parigi, l’ordine pubblico è più o meno garantito. Gli europei che ci vivono sono pochissimi ma non hanno problemi («Non riuscivo a capire», si domanda Michel, «come facevano quei dannati musi gialli: avevano un loro sistema di avvistatori?»).

Va detto che la banlieue che brucia, in Piattaforma, è giovane, multietnica ma non segnatamente maghrebina. Forse perché il libro se la prende già abbastanza coi musulmani e con la loro «grottesca religione», arrivando a parlare di Arafat come di quello che appare in tv con in testa un «cencio da cucina».

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