"I bergamaschi non mollano: è stata dura, ma siamo ripartiti"

È il presidente del gruppo industriale di famiglia: "La reazione al virus si vede già. Sappiamo che il ritorno alla normalità non sarà breve"

"I bergamaschi non mollano: è stata dura, ma siamo ripartiti"

Dici Bergamo, e hai negli occhi la fila dei camion militari che portano le salme dei morti di Covid fuori regione per la cremazione. Qui il virus si è abbattuto come in nessun'altra area d'Italia, non c'è famiglia senza lutti, ma i bergamaschi hanno combattuto con un silenzio carico di dignità, così si usa in una terra poco incline a lacrime e lamenti. Hanno reagito senza far rumore perché c'è una cosa che viene ripetuta sin da bambini a chi nasce da queste parti: «mola mia», ovvero «non arrenderti». Questa regola di vita e la proverbiale etica del lavoro hanno contribuito a fare di una provincia disseminata di cime e valli uno dei centri manifatturieri d'eccellenza in Europa. Si può aggiungere: d'una manifattura innovativa e verde.

Tra i colossi della zona c'è RadiciGroup, multinazionale della chimica, dei tecnopolimeri e delle fibre sintetiche. Il gruppo ha un fatturato di 1,2 miliardi di euro, 3.100 dipendenti, ed è presente in 16 Paesi con 24 sedi produttive e 8 uffici commerciali. Angelo Radici è il presidente. In questo periodo è tra l'altro coinvolto nel progetto di Confindustria Bergamo per la realizzazione di mascherine chirurgiche. E non solo

«Mola mia» è un'espressione che ormai mezza Italia conosce, è finita anche sulle mascherine: è il grido di battaglia contro il Covid. Ma non solo: quante volte se l'è sentito dire dai suoi genitori?

«Per noi Mola mia non è uno slogan, è qualche cosa di più: rappresenta il nostro spirito e la nostra tenacia, la determinazione e la passione, ma anche l'attitudine al lavoro e al sacrificio. Sono valori fondamentali, da sempre parte della nostra famiglia e ancora prima della nostra terra. Sono cose che si apprendono da subito, io le ho imparate fin da piccolo. Di più: da sportivo, con anni di esperienza agonistica alle spalle, ho imparato che senza la determinazione, l'allenamento e la costanza non si ottengono risultati. Quindi ci diciamo sempre Mola mia, anche nei momenti di massima fatica, e senza questo spirito non saremmo arrivati dove siamo oggi».

Suo padre, Gianni Radici, prese il timone dell'azienda di famiglia nel secondo dopoguerra, trasformandola in una multinazionale. È stato lui a mettere le basi della vostra attività di oggi.

«Mio padre ha iniziato a lavorare alla metà degli anni '40, quando prese le redini di quella che allora era la Tessiture Pietro Radici, fondata da mio nonno, Pietro, nel 1941. L'azienda produceva coperte e copriletti. Mio padre ha diversificato l'attività in senso orizzontale, passando dalla produzione di coperte a quella di tappeti, tessuti, moquette, tappetini per automobili. Si è arrivati fino alla chimica, per integrarsi verticalmente nella filiera del nylon. Se devo sintetizzare tutto in poche parole, direi che è stata proprio la diversificazione la grande intuizione di mio padre: ci ha permesso di trasformare una piccola realtà di provincia in un grande gruppo industriale con ramificazioni in tutto il mondo».

Di papà imprenditore cosa ricorda più volentieri?

«Aveva un istinto unico. Di lui mi hanno sempre colpito un paio di cose: la capacità di fare scelte coraggiose e la lealtà nelle azioni e nei comportamenti. Noi figli siamo entrati in azienda avendo di fronte il suo esempio concreto. Oggi cerchiamo di dare continuità agli insegnamenti che ci ha dato, sia nei rapporti con il mondo del lavoro, sia verso territorio e le comunità in cui viviamo o in cui operano le nostre fabbriche».

Siete in mezzo mondo ma il cuore pulsa a Gandino: un centro di 5mila anime in cima a una valle, a 26 chilometri dalla città e dall'autostrada. Cosa vi spinge a rimanere lì?

«Il legame con il territorio è parte di noi, fa parte della nostra storia e del nostro Dna di imprenditori. Siamo nati e cresciuti qui come persone e come azienda, ci sentiamo parte della comunità. Questa terra ci ha dato tanto, sia in termini di uomini, persone, collaboratori che di risorse. E rimanendo qui, cerchiamo anche di restituire qualche cosa al territorio dove siamo diventati quelli che siamo».

Se dovesse spiegare in poche parole la sua terra, con tutti i pregi e difetti del caso?

«Sarò un po' di parte ma credo che Bergamo sia un concentrato unico, fatto di competenze, attaccamento al lavoro e flessibilità. Forse a volte siamo un po' «chiusi», dovremmo migliorare nelle relazioni, raccontarci, imparare a far conoscere anche ai consumatori i valori delle nostre realtà industriali. Adesso, in questo momento di difficoltà, abbiamo capito fino in fondo l'importanza di fare squadra ed essere coesi. Mi piacerebbe che le cose continuassero in questo modo anche in futuro, anche a livello di business».

In sette giorni, gli Alpini bergamaschi hanno costruito un ospedale che non è da campo, ma molto di più...

«Quell'ospedale è un successo sotto tutti i punti di vista. Ed è una dimostrazione concreta di cosa ha fatto Bergamo per Bergamo: tanti lavoratori e imprenditori della zona hanno messo in campo generosità, altruismo e competenze per dare respiro alla città. Noi siamo particolarmente orgogliosi di aver contribuito, insieme all'Atalanta, a una donazione che è servita per l'acquisto di tutti gli impianti necessari a fornire ossigeno per 200 posti letto. Tutti destinati ai pazienti ricoverati a causa del Covid-19».

Lei l'ha citata: Radici vuol anche dire Atalanta

«Dell'Atalanta siamo i main sponsor. È una partnership che ci rende particolarmente orgogliosi perché per noi è un binomio perfetto: mette insieme due eccellenze della zona che hanno saputo affermarsi anche a livello internazionale. Nel calcio come nell'industria. Molti valori sono comuni. Ancora una volta, c'è la volontà di non arrendersi mai, anche di fronte a sfide impossibili. Prima che si fermasse tutto, l'Atalanta, al di là di ogni prognostico, aveva appena portato a casa un risultato sorprendente in Champions League (il 19 febbraio, l' Atalanta ha battuto il Valencia 4-1 nell'andata degli ottavi; ndr) trovando modalità e soluzioni inaspettate. Vale anche per RadiciGroup: speriamo di riuscire ad essere altrettanto bravi nel trovare le soluzioni giuste per combattere questa nuova battaglia».

E adesso, nel dopo-virus, cosa prevede per l'imprenditoria bergamasca?

«Siamo ripartiti sì, ma si prevedono mesi difficili. Come per tutto il Paese, del resto. Noi imprenditori faremo tutto il possibile per affrontare al meglio la situazione, ma il sostegno di tutti gli stakeholder coinvolti sarà fondamentale. Stiamo parlando della business community, delle associazioni industriali, delle comunità locali e delle istituzioni italiane ed europee. Il tempo per tornare alla normalità, probabilmente a una nuova normalità diversa dalla precedente, sarà lungo».

I bergamaschi non amano esternare le emozioni. Però la «botta» è stata forte: che cosa vede adesso, anche solo incrociando lo sguardo dei suoi dipendenti?

«Quello che noto è una grande forza e il desiderio di superare questo momento difficile. L'emergenza ha messo e sta mettendo tutti a dura prova, però vedo la voglia e la determinazione delle persone nel non arrendersi, la capacità di reagire, e una grande solidarietà. Mi sembra di notare anche il desiderio di mettersi in gioco in ruoli nuovi e su progetti diversi, con la volontà di contribuire in prima persona alla lotta contro il Coronavirus».

Colpisce che, nonostante l'ecatombe, a Bergamo non si sia registrato un solo gesto plateale, semmai un gran silenzio. In un Paese dove s'impone chi urla di più, tanta discrezione non può rivelarsi addirittura controproducente? Non fa correre il rischio di essere dimenticati presto?

«Qui siamo abituati ad agire, a creare e a far crescere imprese più che a raccontare al mondo le nostre qualità. Siamo industriali più che comunicatori, in un mondo dove la comunicazione è diventata sempre più importante. Siamo stati colpiti dal virus in maniera molto aggressiva e tutti noi siamo stati toccati dalla morte, dalla paura e dall'incertezza. Ma c'è una cosa che il Covid dalle nostre parti non annienterà mai: la voglia di reagire. Sono orgoglioso di essere bergamasco, un popolo a cui non interessano le chiacchiere ma i fatti. Grazie ai fatti, oggi il nostro territorio ha tante filiere e rappresenta un centro strategico nel tessuto economico nazionale. Faremo il possibile per confermare il nostro ruolo con determinazione anche dopo la crisi».

Voi lavorate in tre Continenti. Asia compresa. Se dovesse fare un confronto fra gli scenari post-Covid in Cina e in Italia?

«I nostri numeri ci confermano che la ripresa in Cina è già in corso e le prospettive sono buone. Per esempio, se prendiamo il mercato dell'automobile le ripercussioni nel breve termine dovute al calo delle esportazioni dalla Cina verso Europa e Usa non dovrebbero avere su di noi un impatto significativo. Bisogna tener presente che per i settori in cui operiamo, la Cina non è più come una volta la fabbrica del mondo: oggi assorbe i nostri prodotti prevalentemente per il mercato interno. D'altro canto l'obiettivo che abbiamo seguito nel crescere a livello globale è sempre stato quello di produrre in un paese per servire il mercato regionale».

E l'Italia?

«Per l'Italia la situazione è diversa. La Penisola è parte fondamentale della catena di fornitura europea e l'Europa è ancora ferma, quasi totalmente concentrata nel contenere e debellare il virus. Noi non abbiamo dovuto fermare i nostri stabilimenti, ma è evidente che nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, si giocherà una partita fondamentale che avrà come obiettivo restituire la fiducia nel futuro, e creare le condizioni per la ripresa in Europa, e aggiungerei anche in America. Pensiamo che ci vorranno due-tre anni per raggiungere le aspettative di crescita inizialmente attese per il 2020. Probabilmente ne usciremo con catene di fornitura più regionali, ma la proiezione globale delle aziende continuerà ad avere un ruolo decisivo per la crescita a lungo termine».

Abbiamo parlato del «Mola mia». Ma c'è forse un altro motto in cui si identifica la vostra azienda?

«Più che in un motto ci identifichiamo in una serie di valori che per noi sono fondamentali. In primis, la responsabilità di impresa verso i nostri dipendenti e verso il territorio. Solo mettendo al centro le persone e il rispetto della loro integrità fisica e culturale è possibile crescere assieme e ottenere risultati soddisfacenti. Non solo: è importante che questo approccio si rifletta anche verso l'esterno in termini di correttezza e trasparenza, sia verso la comunità che le istituzioni.

Suo fratello Fausto è stato campione di Coppa del Mondo di sci. Anche lei, però, è considerato uno sciatore formidabile. Come fa a dirigere una multinazionale riuscendo a mantenere prestazioni sciistiche da gara?

«Qui in Val Seriana, la montagna è parte di noi, una presenza costante nelle nostre vite. Ho iniziato a sciare da piccolissimo. È stata ed è una grande passione che ho condiviso con papà e fratelli. Per molti anni ho praticato a livello agonistico e anche quando avevo già iniziato a lavorare in azienda, durante la pausa pranzo scappavo con mio padre per fare qualche discesa. Poi di nuovo in ufficio. Ancora adesso lo sci è un modo per vivere la montagna, a contatto diretto con la natura e i nostri bellissimi paesaggi. In generale, poi, penso che praticare uno sport, ad ogni livello, aiuti a capire che certi risultati si possono ottenere solamente attraverso la passione, la determinazione e il sacrificio.

Nello sport, come nel lavoro, bisogna avere dedizione e fare squadra per raggiungere i propri obiettivi. Per questo, ancora adesso, sosteniamo uno sci club, lo Sci club Radici, perché faccia scuola sul territorio, coinvolga i bambini e gli adolescenti».

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