I cortei non aiutano, la Palestina che soffre ma solo gli estremisti

Questa città tollerante, questa Milano aperta e sensibile, rischia di diventare, per l’iniziativa incalzante di minoranze fanatiche, una capitale dell’intolleranza, che non ci appartiene e che non ci piace. In solo sette giorni quattro manifestazioni filopalestinesi, tutte marcate da un rituale feroce e greve e incentrate su una preghiera che non è stata un’invocazione di pace e di misericordia, ma un’esaltazione dell’odio. Bandiere bruciate – quelle con la stella di David e a stelle e strisce – Israele demonizzata. come l’erede del razzismo nazista in un clima di tensione che Milano non merita. E i cortei sempre tentati di forzare i cordoni di polizia, in un confronto aspro; cortei in cui la nostra sinistra estrema, sconfitta nelle urne, cerca il ruolo delle mosche cocchiere. Anche questi cortei sono un segno del dramma palestinese, ripropongono un modo arcaico di fare politica, rappresentando la sofferenza di donne e bambini, ma dimenticando i cinici sceicchi d’accatto che sul dolore dei profughi hanno costruito miserabili carriere. Queste manifestazioni non servono, non c’è milanese che non desideri la pace in Medio Oriente. Non aiutano i palestinesi che soffrono, servono soltanto ai fanatici che della predicazione rabbiosa hanno fatto mestiere.

Anche il ricorso alla pubblica preghiera è un tentativo di condizionare tutti i musulmani che vivono fra noi senza pensare alla «jihad», la guerra santa, come unica via d’uscita. E la mescolanza fra speculazione politica e religione diventa blasfema, nessun Dio può essere strumentalizzato. Nemmeno se a provarci sono imam in odore di terrorismo e vecchi arnesi dell’ateismo di sinistra.

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