Ma i costi restano da primato

Ma i costi restano da primato

Per il trasferimento dei conti correnti ci sono i problemi tecnici (tra l’altro quello delle domiciliazioni) e c’è il problema dei costi legati all’estinzione del rapporto con la banca che si vuole abbandonare. Questo tipo di spese è una particolarità tutta italiana, senza uguali in altri Paesi. Negli ultimi mesi diversi istituti hanno deciso di azzerarle (e c’è anche chi, come Unicredit, su questa scelta ha impostato una efficace campagna pubblicitaria). In media, però, secondo una recente inchiesta del periodico Altroconsumo, chi chiude il conto in banca è soggetto a un balzello che è intorno ai 30 euro. Questo senza considerare l’eventuale esistenza di un deposito titoli (altre spese per la chiusura) o la richiesta di trasferire a un altro conto i titoli in portafoglio. In questa eventualità ogni istituto fa come crede. E le spese raggiungono livelli stratosferici. Sempre secondo l’inchiesta di Altroconsumo per un equivalente di 20mila euro si va dai 19,90 euro chiesti da Banca Fineco ai 625 del Credem. Nelle classifiche internazionali del resto le banche della penisola sono sempre nelle posizioni di vertice quanto ai costi affibbiati ai correntisti. La ricerca più citata nel settore è quella della società di consulenza Capgemini: secondo questo studio nel 2005 il costo medio di un conto in Italia è stato di 113 euro all’anno. A pagare di più sono solo svizzeri (137 euro) e australiani (123). Gli istituti di credito più convenienti (almeno per quanto riguarda l’Europa) sono invece in Gran Bretagna (65 euro medi all’anno), Belgio (58 euro), e Olanda (25).

Per i correntisti italiani almeno una mezza consolazione, però, c’è: tra il 2004 e il 2005 i costi medi sono aumentati solo del 2%, in linea, dunque con il tasso di inflazione. Anche in questo caso, però, c’è chi ha fatto meglio: nello stesso periodo i costi sono scesi dell’1% in Francia e Germania e addirittura del 6% in Svezia.

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