I criminologi spiazzati: «Una strage mai vista Così feroce, così futile»

Lavorino: «È una mattanza senza precedenti in Italia e dove non c’è proporzione tra offesa subìta e vendetta». Bruno: «Nessun vizio di mente, ma premeditazione: non hanno trascurato alcun dettaglio»

I criminologi spiazzati: «Una strage mai vista Così feroce, così futile»

«Stragisti familiari con ritualità massacrante». Davanti allo scempio attuato dai coniugi Romano i più autorevoli criminologi italiani sono costretti a coniare una definizione nuova nell’ambito della pur ampia letteratura scientifica omicidiale. Su un punto concordano infatti Massimo Picozzi, Francesco Bruno e Carmelo Lavorino: «Nel nostro Paese una mattanza come questa non ha precedenti».
«Per trovare qualcosa di analogo bisogna andare a ritroso nel tempo quando le tecniche investigative non erano sofisticate come quelle di oggi - premette il professor Picozzi, consulente di polizia e carabinieri nel tracciare il profilo psicologico dei killer -. Nel caso di Erba ci troviamo dinanzi a un’esplosione di violenza in cui colpisce l’assoluta mancanza di proporzione tra l’eventuale offesa subíta e quella perpetrata ai danni dei “nemici”. I due piatti della bilancia non stanno in equilibrio: sul primo c’è null’altro che banali dissidi condominiali, mentre sull’altro c’è un’esplosione sanguinaria che investe tutto e tutti, senza fermarsi neppure davanti al pianto di un bimbo di due anni».
«Anzi sono proprio le lacrime del piccolo Youssef a scatenare la furia di Rosa Bazzi che si accanisce su di lui con il coltello che si era portato da casa - spiega Rosario Lavorino, docente di Tecnica investigativa -. È lei, più che suo marito Olindo Romano, la parte “forte” della coppia. Non mi meraviglierei se nel prosieguo dell’inchiesta si appurasse che sia stata proprio lei la mente del raid punitivo. Una vendetta assoluta e atavica nel suo rituale».
«Ma attenzione a non cadere nell’errore di considerare questa coppia incapace di intendere e di volere - aggiunge lo psichiatra Francesco Bruno -. Ci troviamo infatti dinanzi a due soggetti che hanno pianificato alla perfezione il loro modus operandi. La premeditazione è fuori di dubbio, visto che i coniugi Romano si sono recati nell’appartamento dei Marzouk armati e ben coscienti di ciò che avrebbero dovuto fare. Indiscutibile è pure la pianificazione del dopo strage, con il tentativo di costituirsi un alibi. Infine la recita del ritorno sulla scena dell’orrore con l’ostentata apprensione per quanto era accaduto».
«La scena del crimine era stata “sporcata” dall’incendio appiccato dai Romano proprio per distruggere ogni impronta utile per risalire ai colpevoli - evidenzia il professor Picozzi -. Due persone per molti versi insospettabili e quasi rassicuranti nel modo di proporsi».
Lei dimessa nel vestire e remissiva sul luogo di lavoro; lui «simpaticamente burbero», come lo hanno descritto i colleghi di lavoro.
«E invece si tratta di due diavoli, demoni che non sono riusciti a tirare in tempo i freni inibitori sprofondando in un odio omicida privo di movente - dice Lavorino -. Ma a ben guardare, forse, un motivo per spiegare ciò che non è umanamente spiegabile c’è: Rosa Bazzi odiava Raffaella Castagna e il piccolo Youssef perché vedeva in loro il riflesso del suo fallimento di donna. Rosa Bazzi, infatti, non poteva avere figli e questa maternità negata era diventata per lei intollerabile. Così il pianto del piccolo vicino di casa ha fatto scattare il cortocircuito. Morte a lui e a sua madre. E anche a quei due scomodi testimoni. Il marito le è di sostegno e di aiuto, non può negarle la sua complicità».
Una chiave di lettura con la quale concorda anche Francesco Bruno: «Rosa Bazzi era esasperata dalla presenza dei vicini perché i rumori che provenivano da casa Marzouk erano la colonna sonora di una famiglia che, pur tra varie difficoltà, era una famiglia felice. Una felicità che disturbava, che esasperava e che infine ha fatto impazzire un marito e una moglie che non erano riusciti a diventare genitori.

Ma ciò che impressiona è il delitto organizzato, punto per punto, attingendo a una cultura popolare poliziesca. Non solo: le vittime sono state sgozzate come per far ricadere la colpa sullo straniero, magari islamico. L’assassino viene da fuori, non è uno di noi. Non è uno di noi».

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