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I due Presidenti alla Scala ma il lusso batte la sobrietà

Monti e Napolitano hanno assistito al «Don Giovanni» dal palco reale. Ma nonostante lo stile imposto dal nuovo corso, il pubblico ha ostentato auto blu, smoking e gioielli

I due Presidenti alla Scala ma il lusso batte la sobrietà

Non è il solito evento mondano, stavolta è un evento epocale: nella limpida serata milanese tramonta la politica della casta e si insedia solennemente la politica casta. Schierando il tridente Napolitano-Monti-Pisapia, più quattro ministri a sostegno, la nuova Italia fa brillare sotto i riflettori della Scala tutte le sue gemme: candore, pulizia, innocenza, e soprattutto lei, la madre di tutte le virtù, la sobrietà.

Questo sarebbe il reportage che il bravo inviato parastatale dovrebbe consegnare a conclusione dello storico appuntamento. Purtroppo, non ce la faccio. Questa sobrietà era attesissima, era data per certa, lo so benissimo, ma non chiedete a me se si è presentata: io non l’ho proprio incrociata. Sono certo che a molti autorevoli osservatori non sarà sfuggita, sicuramente la racconteranno con dovizia di particolari e toni incantati, ma io in tutta onestà posso parlare solo di quello che ho visto con i miei occhi: lo giuro, della sobrietà nemmeno l’ombra.

Via, non la vengano a raccontare. La Prima al tempo della sobrietà non ha niente di diverso da tutte le altre Prime. Anch’io, come la ministra Fornero, ho una gran voglia di piangere. Anch’io, alla sola parola «sacrificio», ho lo stesso cedimento emotivo. Dannazione, mentre qui sfilano auto blu di tutte le marche e di tutte le cilindrate, scodellando lussuosi campionari di orologi, smoking, pellicce, sete, pietre preziose, proprio in questo esatto momento storico la benzina e il gasolio sfondano quota 1,7. Come la ministra Fornero, immagino i lavoratori dipendenti da 1.500 euro al mese, con due o tre figli a carico, e sinceramente mi viene da piangere pensando a quando dovranno fare il pieno, pagando il supremo bene petrolifero esattamente come i titolari di queste fuoriserie. Penso pure all’Ici sulla prima casa, quella casa che tante famiglie dei ceti normali sono riuscite a regalarsi in una vita di fatiche e di rinunce, sì, penso a tutti questi italiani e li paragono inevitabilmente all’umanità di questa magica notte musicale, un’umanità che sicuramente non ha niente di cui vergognarsi - spero - ma che non può essere considerata titolare della prima casa allo stesso modo, anche solo per il fatto di avere pure la seconda, la terza, l’ottava e la ventesima. Penso a tutto quello che il premier ha raccontato in questi giorni nel Parlamento vero e in quello di Vespa, all’ineluttabilità dei sacrifici, e come la ministra Fornero sento l’irresistibile tentazione di versare qualche lacrima, davanti all’ineffabile sfarzo per Don Giovanni.

Via, non la vengano a raccontare. Non c’è niente di più sgradevole della sobrietà esibita, indossata come un abito alla moda, solo perché adesso è cambiato il vento e quello che prima era stupida ostentazione di un’Italia cretinetta diventa improvvisamente responsabile sobrietà. Ma quale sobrietà. Cascasse il mondo, e stavolta ci siamo arrivati molto vicini, alla Prima non vuole comunque mancare nessuno. Non manca neppure lo zio Mario, fresco autore della più feroce manovra di tutti i tempi: s’è tagliato lo stipendio, ma non si taglierebbe mai uno dei pochi piaceri e delle poche uscite mondane che si è sempre concesso. Stavolta sale dalla platea al palco reale, con Napolitano, prendendosi un lungo applauso all’ingresso. Dopo l’inno qualcuno urla pure «Viva il presidente», e nessuno può impedire allo zio Mario di pensare che si riferisca a quello del Consiglio.

Cascasse il mondo, e stavolta ci siamo proprio avvicinati, anche a questi livelli aristocratici passa ufficialmente la linea dettata dal nuovo filosofo di riferimento, Fiorello: ma sì, basta con quest’aria da funerale, la crisi va esorcizzata, la Scala è un’eccellenza e possiamo tranquillamente passare una serata in leggerezza. Lo dice persino il sindaco Pisapia, pioniere della sobrietà. Così, gli snob snobbano la crisi. Qui magari non si fanno grasse risate come nel parterre del comico nazionalista, però il rito non si tocca. Basta vestirlo bene, con operazione felpata d’alta sartoria, nella nuova divisa ufficiale: basta vestirlo di sobrietà, che ci vorrà mai.

Improvvisamente, la famosa Italia dei nani e della ballerine entra nel cerchio magico del governo tecnico e nessuno ha più niente da ridire. Lo dice anche la ministra Cancellieri: «La sobrietà sta caratterizzando tante cose. È un momento, per il Paese, in cui dobbiamo tutti essere sobri». Poco più in là, Ballantini imita Valentino come sempre. La Marini e la Marzotto sfilano fasciate nei soliti tendaggi e vanno a occupare il palco del terzo piano. Al loro seguito, le signore della buona borghesia (sobria) portano all’esordio l’ultimo rabbocco di silicone (ministra Fornero, come non averci pensato prima: e una tassa sul silicone?

Davvero, strana atmosfera. Non c’è più nessuno che abbia niente da ridire, da eccepire, da rinfacciare. Persino loro, gli indignati della Prima, che soltanto dodici mesi fa avevano riproposto un tesissimo revival degli anni ’70, con lacrimogeni, lanci contundenti e cariche alla polizia: ecco, persino loro, deludenti. O forse soltanto sobri.

A un anno di distanza, a poche ore dallo sterminio della manovra, alcuni studenti e qualche sindacato di base fanno atto di presenza con quattro petardi, quattro slogan, uno smilzo corteo e via pedalare. Due tizi più fantasiosi arrivano con un’interminabile limousine fino alle porte del teatro ed espongono uno striscione: pochi secondi e via rimossi in scioltezza.

Tutto qui. Alla fine, farà notizia un uovo lanciato dalle transenne verso l’auto blu di Monti (colpito un fanalino). Per l’Italia, è l’uovo di Colombo: senza Silvio, dopo i Travagli, dopo i Benigni, s’ammoscia anche la rabbia.

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