«I miei rap si addicono a questa città capitale dei contrasti»

Linguaggio esplicito, ironia e sfottò in dosi industriali per mettere a nudo i guasti della società italiana. Il tutto sciorinando rime taglienti con una scioltezza degna del neolimpionico Giuliano Razzoli tra i pali dello slalom speciale di Vancouver. Signore e signori, J-Ax (che sta per Jocker Alex), alias Alessandro Aleotti, 38 anni milanese, di professione rapper. Ma non solo.
«Tutto quello che amo fare è immorale e illegale», urla convinto nel ritornello di una delle sue canzoni più recenti, «Immorale», con la quale sembra quasi voler sintetizzare l'irriducibile vena ribelle. Una costante sin dagli esordi negli Articolo 31. Erano i tempi della nascita su larga scala del fenomeno hip hop in Italia e già J-Ax rappresentava un'eccezione...
«La ragione è presto spiegata: a me e al mio socio (Dj Jad, ndr) interessava dire la nostra fregandocene dei condizionamenti ideologici e, perché no, approfittando anche delle opportunità offerte dai canali commerciali, in primis radio e tv. Ed è stato sempre così. Da "Ohi Maria", la nostra prima hit premiata nel 1994 col disco dell'estate, in avanti».
Ancora oggi, lei che è quasi un sopravvissuto a due generazioni di rapper, non perde occasione per viaggiare controvento e rimarcare il proprio distacco da ambienti "puristi" e da qualsiasi etichetta, è così?
«A dire il vero, un'etichetta me la sono auto-coniata: "rap n' roll". Al sottoscritto piace intrecciare lo slogan e i ritmi del rap con le melodie e il rumore del rock».
"Rap n' roll" è anche il titolo del primo dei due album fatti uscire lo scorso anno - l'altro, con ospitate eccellenti del calibro di Pino Daniele e Jovanotti, è "Deca Dance" -, a dimostrazione di una prolificità fuori dal comune.
«Non voglio sembrare spocchioso, ma chi mi "circoscrive" a leader della scena hip-hop non rende giustizia né al movimento né al sottoscritto. Io non rappresento nessun'altro che me stesso. Piuttosto preferisco considerarmi un cantautore, magari sui generis. Uno che pensa in prima battuta a creare buona musica, che abbia ritmo, intrattenga e faccia ballare, e già che c'è non si tira indietro quando c'è da raccontare la realtà per quello che è, senza filtri né tanti giri di parole. A ben guardare, scrivo cose poco accomodanti. Mi danno del qualunquista? Chissenefrega».
Ora l'apoteosi dal vivo con un poker di concerti dell'Illegale tour all'Alcatraz (dopo quello inaugurale di ieri, suonerà anche stasera, il 15 e il 16 marzo, ore 21, ingresso 20 euro), tre dei quali già sold out. Non c'è che dire, una gran bella soddisfazione...
«La prima volta che ti va bene magari è fortuna, la seconda - per di più da solista - vuol dire che hai le cosiddette, no? Ora dopo 17 anni di carriera mi godo il momento. Quasi quasi il mio sogno di essere al tempo stesso antagonista e di massa si sta per avverare. Se solo penso che all'inizio della carriera il sogno degli Articolo 31 era quello di raggiungere le vendite degli Assalti Frontali, i campioni del movimento underground all'epoca delle posse...»
Gli show milanesi vedranno in qualità di guest sul palco anche alcuni colleghi delle nuova scena rap, dai Cub Dogo ai Marracash passando per Grido dei Gemelli Diversi, e poi confluiranno nel dvd live prossimo venturo "2010: fuga dall'Alcatraz". Pensa che questo grande riscontro di pubblico per il suo ritorno in città sia la riprova della popolarità dell'hip-hop all'ombra della Madonnina?
«Credo che il movimento hip-hop e la cultura che si porta appresso, penso per esempio alla street art, trova terreno fertile laddove le contraddizioni della metropoli sono conclamate. In fondo, Milano è la città delle contraddizioni per antonomasia.

Uno spazio grigio in cui c'è spazio per tutto e il contrario di tutto: i reazionari, il ricco che se ne frega, le case popolari, i barboni che dormono in macchina, i rom, gli extracomunitari, il mondo antagonista, le modelle, le veline, i Suv, le polvere sottili, i manager rampanti, gli apertivi e la droga a fiumi».

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