Il perdono non è solo una questione di cuore. Ma anche di cervello. Ad approfondire i meccanismi biologici che lo regolano è stato Pietro Pietrini, professore ordinario della Imt Altistudi di Lucca e direttore del laboratorio di Neuroscienze. Suo è lo studio apripista sulle neuroscienze del perdono.
Professor Pietrini, si può dire che il perdono sia una strategia del cervello per stare bene?
«Il nostro studio indica che il perdono affonda le proprie radici nel cervello e che si configura come un processo cognitivo articolato che può consentire all'individuo di superare stati emotivi negativi tramite la rivalutazione in termini positivi di un evento».
Come?
«Si attiva la corteccia cingolata anteriore del cervello. Abbiamo visto che è modulata dal dolore e dal suo lenimento. Per capirlo abbiamo proposto a un gruppo di persone storie in cui si potevano immedesimare: tradimenti, torti. E tramite risonanza magnetica abbiamo ricostruito cosa è accaduto nel loro cervello per elaborarle».
È lì che scatta il clic per perdonare?
«È come se nella sua evoluzione il cervello decidesse di by passare l'ostacolo e liberarsi di un problema per poter pensare ad altro, per stare bene. Le secrezioni di ormone dello stress causano alterazioni biochimiche, provocano sofferenza, frustrazione. Il cervello cerca di superare lo stallo in cui si trova proprio attraverso il perdono».
Vuol dire che il rancore e la rabbia provocano uno stato di stallo cerebrale?
«Così come la sofferenza. E per natura il cervello tende a riequilibrare, a superare le alterazioni. Per questo ci è sembrato importante studiare gli effetti del perdono sulla salute, sul benessere dell'organismo».
Esisterà mai un farmaco del perdono?
«Dove c'è una radicale ossessione o uno stato di depressione, allora lo psicofarmaco viene utilizzato e può essere utile. Ma la soluzione non sta in una terapia, bensì in un percorso. Per questo negli Stati Uniti, da vent'anni, ci sono le scuole del perdono. Un team di psicologi aiuta le vittime di incesto o di violenze molto gravi a 'lasciar andare' l'aggressore. Sono scuole avviate dallo psicologo clinico Everett Worthington».
In Italia esiste nulla del genere?
«Non a livello di vere e proprie scuole come in America ma gli psicologi utilizzano abitualmente le stesse tecniche».
È possibile che cerebralmente alcune persone siano più predisposte
al perdono rispetto ad altre?«Dopo il nostro studio, ce ne sono stati altri che si sono concentrati proprio su questo e stanno analizzando la predisposizione a perdonare, misurandola attraverso alcuni indicatori».
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