La parolina «Fine», ovvero «The end», non s'usa più al cinema, salve rare eccezioni, spesso per scherzo. Tuttavia i finali contano, eccome. Basta un niente per sputtanare l'epilogo di un film lasciando lo spettatore, magari fin lì avvinto dalla storia, invaso dalla delusione. «Nessuno è perfetto», direte voi, citando il finale forse più brillante della storia del cinema, ossia la battuta che sigla l'equivoco sessuale di A qualcuno piace caldo. Ma nel caso di Billy Wilder era straordinario anche il resto. Capita a volte, invece, che film epocali siano sfregiati da chiusure irrisolte: troppo consolatorie o poco realistiche, troppo aperte o poco emozionanti. La pensano così al quotidiano inglese The Times, che ha mobilitato i suoi critici per mettere insieme «i venti peggiori finali» di film pure memorabili. La settimana scorsa la classifica, molto apprezzata dai lettori, s'era concentrata sui «migliori finali», non senza qualche sorpresa, visto che la palma d'oro era toccata a Carrie, lo sguardo di Satana di Brian De Palma, seguito da Butch Cassidy, Casablanca, Et e Chinatown.
S'intende, classifiche del genere valgono quel che valgono. Entrano in campo gusti personali, ricordi infantili, riflessi umorali. La scienza esatta, nel campo, non esiste. Però è divertente scorrere la «schidionata» di schede, a partire dalla ventesima posizione, relativa a Velvet Goldmine di Todd Haynes, per arrivare al numero 1, che riguarda niente di meno che Quarto potere di Orson Welles. Possibile? A quanto pare sì. Secondo Kevin Maher, uno dei cinque esperti scomodati, la scelta di «Rosebud» (in Italia «Rosabella»), cioè l'ultima, enigmatica, parola pronunciata dal magnate Charles Foster Kane prima di spirare, è deludente. «È il nome della slitta di legno! Va bene, si presuppone sia una metafora. Ma in realtà è solo una slitta! Avete mai sentito qualcosa di più banale?». Proprio il contrario di quanto sostiene Daniela Farinotti nel volumetto The End. Domani è un altro giorno. Sessanta finali di sessanta film leggendari..., dove la soluzione del rompicapo, grazie alla cinepresa che si posa sull'iscrizione lignea curiosando tra le cianfrusaglie, viene considerata un capolavoro.
Appunto, questione di gusti. D'altro canto, gli inglesi non sfoderano timori reverenziali nei confronti dei «maestri». Così al numero 4 troviamo 2001: Odissea nello spazio, il cui finale, con l'astronauta Keir Dullea che invecchia a vista e il bambino gigante che galleggia nel cosmo, fa scrivere allo stesso Maher: «Kubrick, here, has lost the plot», insomma s'è perso per strada. A proposito di strada, in quindicesima posizione troviamo Blade Runner di Ridley Scott, sia pure nella versione originale del 1982 e non nel director's cut. In effetti, lo Studio rimosse ogni ambiguità sulla natura di Deckard, permettendo all'eroe di allontanarsi con l'amata Rachel - pizzica Nigel Kendall - «guidando tra montagne soleggiate che sembrano prese dagli scarti delle prime scene di The Shining».
L'irriverente disamina non assolve Psycho di Hitchcock, di cui si lamenta il finale piatto e didascalico, con il dottor «so tutto» Richmond che spiega la psicopatologia di Norman Bates; o Grease di Randal Kleiser, il musical rovinato dall'auto truccata di John Travolta che prende il volo scomparendo tra le nuvole; o Salvate il soldato Ryan di Spielberg, per l'epilogo considerato «sciropposo» col fante scampato al macello, ora nonno, lì a chiedersi se sia stato o no un uomo onesto; o Magnolia di Paul Thomas Anderson, sfotticchiato per quella pioggia di rane, «a freak meteorological event», che somiglia «a un disperato tentativo di tappare i buchi della storia con un'evocazione biblica».
Ce n'è anche per il terzo capitolo del Signore degli anelli di Peter Jackson. E qui è difficile dar torto a Ed Potton quando punzecchia gli almeno quattro finali della saga fantasy, insistendo in particolare sulla scena terribile «in cui Frodo e i suoi amici ridono come liceali strafatte». Così come si può concordare con Wendy Ide che stronca l'epilogo dell'ultimo Indiana Jones, parlando di «un racconto avvincente (?) demolito da un epilogo simile a una barzelletta suggerita per scherzo dallo sceneggiatore: il tempo Maya che si trasforma in una nave spaziale».
Quanto ad Apocalypse Now, contrariamente a
quanto ritengono i critici del Times, il finale con il colonnello Kurtz-Brando pronto a offrirsi come vittima sacrificale al machete del capitano Willard-Sheen, resta un gran bel momento di cinema. «L'orrore, l'orrore... ».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.