I sacchetti a pagamento e la rivolta "social"

La "tassa sulla spesa" non piace agli italiani che le studiano tutte pur di non pagarla. E rischia di diventare un boomerang

I sacchetti a pagamento e la rivolta "social"

Gli italiani non vogliono pagare i sacchetti biodegradabili per l'ortofrutta. Lo dimostra la "rivolta" documentata sui social.

Una foto, in particolare, è diventata in queste ore il simbolo della battaglia contro la normativa europea che obbliga i rivenditori a indicare sullo scontrino il costo delle buste utilizzate dal consumatore. Lo scatto mostra quattro arance, ognuna con la propria etichetta che indica peso e costo appiccicata direttamente sulla buccia.

Una pratica in teoria vietata per questioni di igiene e che non sempre permette di eludere la norma entrata in vigore il primo gennaio 2018: molti supermercati, infatti, hanno inserito già nell'etichetta di pesatura il costo del sacchetto. E non sempre si può chiedere al cassiere di stornarlo dall'importo della spesa.

Di certo agli italiani la "tassa sulla spesa" proprio non va giù.

E quella che doveva essere una norma nata per limitare l'impatto ambientale della spesa con l'eliminazione dell'inquinante plastica pesante rischia di diventare un vero e proprio boomerang dal punto di vista ecologico: se tutti inizieranno - quando possibile - a usare un'etichetta per ogni prodotto, quanta carta e inchiostro verrà consumato? Senza contare che molti, pur di non pagare la gabella, preferiranno i prodotti già imballati e prezzati, con conseguente aumento degli imballaggi da smaltire...

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