«I servizi polacchi sapevano dell’attentato al Papa»

«I servizi polacchi sapevano dell’attentato al Papa»

nostro inviato a Varsavia
C’è un colonnello dei servizi segreti polacchi che ha paura. Molta paura. Tanto che ha deciso di assoldare due guardie del corpo perché teme di fare la fine di un suo collega, ex spia del Kgb, tale Alexander Litvinenko, avvelenato a Londra da una micidiale dose di polonio tre mesi fa.
Il colonnello in questione, supponiamo che di cognome faccia Bak, ha paura per un motivo semplicissimo: si è deciso a vuotare il sacco dopo che per tre mesi Grzegorz Inudulski e Jaroslaw Jakiczyk due validissimi colleghi di WProst, popolare settimanale polacco, da anni impegnato a far luce sulla pista bulgaro-sovietica che guidò la mano ad Ali Agca nell’attentato a Papa Wojtyla il 13 maggio del 1981, lo hanno incalzato. Convincendolo che forse proprio le sue rivelazioni potrebbero essere anche l’unica assicurazione sulla vita che può sottoscrivere in questo momento. Eppure. Eppure il colonnello ha paura, molta paura, anche perché, se è vero come è vero, che Litvinenko pochi istanti prima di finire avvelenato ha confermato al consulente della commissione Mitrokhin, Mario Scaramella, l’esistenza di una rete di informatori e collaboratori assoldati dal Kgb nell’Italia prima del partito comunista e da lì in poi fino al centrosinistra di Romano Prodi e di Massimo D’Alema, è altrettanto vero che anche lui è arrivato alla stessa convinzione in seguito a un episodio di cui è stato protagonista nell’estate del 1986.
Ecco i fatti. Il colonnello ha raccontato ai colleghi di WProst che quando lavorava all’ufficio informazione dello Stato Maggiore venne a conoscenza di un’informativa che tre settimane prima di quel drammatico 13 maggio del 1981 confermava l’esistenza di un piano per uccidere il Papa. Passò l’informativa al suo superiore dell’epoca, il colonnello Karol Szelag. La notizia andò per altre mani e venne prudentemente insabbiata con zelante collaborazione del Kgb. Con un’aggravante che sarà rivelata da WProst (la testata si traduce in italiano con «Direttamente») nel numero in edicola lunedì prossimo: e cioè che quel 13 maggio 1981 in piazza San Pietro c’erano anche tre ufficiali dei servizi segreti polacchi con compiti di «coordinamento» non meglio definiti. Ma la rivelazione del colonnello Bak ha un seguito che ci riguarda da vicino. Nell’estate del 1986 il colonnello polacco nominato attaché al Cairo decide di togliersi un peso dalla coscienza e di rivelare la storia di quell’informativa insabbiata al suo collega italiano, l’allora colonnello Giuseppe Cucchi, amico e collaboratore fidato di vecchia data di Romano Prodi, consulente della sua Nomisma nonché attuale responsabile del Cesis, l’organismo di raccordo tra Sismi e Sisde. La rivelazione avviene nel corso di un incontro lontano da sguardi indiscreti all’ambasciata italiana in Egitto. Al colloquio non presenzia alcun testimone. La conversazione ha o dovrebbe avere carattere riservatissimo. Ma il colonnello polacco ha la netta sensazione che qualcuno su disposizione o all’insaputa di Cucchi registri il loro colloquio. Fatto sta che nel giro di pochi giorni il colonnello, senza alcun motivo logico, viene richiamato a Varsavia dove apprende che contro di lui è stato aperto una sorta di processo segreto interno. A conclusione del quale viene destituito da ogni incarico e messo in condizione di non aver più alcun contatto con colleghi o amici di Paesi Nato. Chi fu dunque in quell’occasione a «vendere» il colonnello ai servizi dell’Est? La domanda che si pose allora il colonnello polacco è la domanda che oggi ci poniamo tutti e che i colleghi Jakimczyk e Indulski sono riusciti a porre direttamente al generale Cucchi che li ha ricevuti a Roma. Come ci hanno raccontato ieri sera in un hotel di Varsavia Cucchi ha confermato l’incontro con il colonnello polacco. Ha confermato che quell’incontro venne registrato da un ufficiale del Sismi ma ha respinto decisamente ogni illazione a suo carico: «Feci solo il mio dovere e lo feci anche bene. Sono assolutamente tranquillo. Tutti i protagonisti della vicenda sono vivi e possono testimoniare. Non faccio i nomi perché le fonti vanno protette, soprattutto se si tratta di agenti segreti. Ma è vivo l’agente del Sismi che stava al Cairo, sono vivi i suoi superiori a Roma. È vivo il mio vecchio caporeparto...». E allora chi ha «venduto» Bak? E la lista degli infiltrati del Kgb nelle file del centrosinistra? Il generale, definito dai colleghi di Varsavia molto disponibile ma anche molto scaltro, ha risposto secco: «Pensavo che la questione fosse chiusa, ma adesso mi sembra evidente che la cosa continua e si cerca di sfruttare la situazione per attaccare il presidente Prodi». Illazioni, accuse pretestuose e infamanti, dunque. Stando all’ex attaché Giuseppe Cucchi.

Ma in Polonia questa storia sollevata da WProst sta rimbalzando sui media ed è finita anche in prima serata nel talk show della Tvp2, rete pubblica. Il titolo del programma è sufficientemente emblematico, «Warto Rozmawiac», ovvero «Val la pena di parlarne». Sì ne vale la pena, generale. Ci creda.

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