I sikh uccidono Indira Gandhi La chiamavano «l'imperatrice»

Non era né amabile né dolce, può testimoniarlo chiunque abbia avuto modo di avvicinarla anche per poco. Era intollerante di qualsiasi critica, oltremodo permalosa, implacabile con avversari e nemici; ma anche con esponenti del suo partito, quel Congresso che aveva rifondato e ribattezzato aggiungendovi tra parentesi una «I» che sta per Indira. Ed era tutt'altro che malleabile, come avevano erroneamente creduto quei politici che nel 1966 l'avevano insediata nella poltrona di primo ministro sperando di averla prona ai loro voleri. (...) ma sarebbe utopico esigere l'esercizio di una democrazia di tipo occidentale in uno Stato di settecentocinquanta milioni di abitanti, di etnie diverse e nemiche, di varie religioni ed aspirazioni, di spinte regionalistiche, di analfabetismo al 70%, di miseria diffusa e soprattutto di un tasso di crescita demografica distruttore e annientatore di qualsiasi risorsa. (...

) «Se mi uccidessero - aveva dichiarato due giorni fa, come se ne fosse presaga - sono sicura che il mio sangue darebbe un contributo alla grandezza dell'India». Può darsi. Per ora il suo sangue piomba l'India nella tempesta.
Egisto Corradi - 1° novembre 1984

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