I super-delegati gelano Hillary «Potremmo seguire Obama»

I maggiorenti del partito democratico, forse decisivi per la nomination, pronti a sacrificare l’ex first lady

Il senatore dell’Illinois Barack Obama ha vinto le primarie democratiche della Virginia. Nello Stato sono in palio 83 delegati democratici oltre a 18 super delegati. È il sesto successo consecutivo per Obama in altrettanti confronti dopo il supermartedì delle primarie. In Virginia, secondo gli exit polls, il voto dei bianchi è risultato diviso tra Clinton e Obama, 52-48 a favore della senatrice, ma il senatore nero si è imposto 58-42 tra le donne e con oltre l’80% tra gli afroamericani. Obama non aveva dubbi sull’esito delle primarie svoltesi anche in Maryland e nel Distretto di Columbia (dove sorge la capitale Washington) e i primi risultati hanno confermato il suo ottimismo. Hanno votato anche i repubblicani: tra John McCain e l’ex pastore Mike Huckabee è testa a testa.
Ma ieri tutti pensavano solo a Hillary Clinton. Bastava osservarla negli ultimi comizi per capire quale sia il suo stato d’animo. Fino a pochi giorni fa era persuasa che alla fine il fenomeno Obama si sarebbe sgonfiato e che il partito avrebbe preferito puntare sulla tradizione, ovvero su di lei. Ma ora non ne è più tanto sicura e quando incontra i suoi sostenitori appare giù di giri. Certo, continua a stringere mani e a firmare autografi, ma il suo sguardo è triste come quello di un atleta che intuisce di essere destinato al secondo posto.
Premonizione o eccesso di pessimismo? Lo capiremo entro poche settimane: tra pochi giorni si vota in Wisconsin e nelle Hawaii, poi il 4 marzo nel Texas e in Ohio. Ma Hillary deve affrontare un problema in più: quello dei superdelegati, ovvero i maggiorenti del Partito che, se si arrivasse alla convention di Denver di fine agosto in una situazione di parità tra lei e Obama, deciderebbero la nomination. Fino a poche settimane fa sembrava scontato che la maggior parte di loro si sarebbe schierata dalla sua parte; adesso non più. E a farlo sapere sono gli stessi superdelegati, che hanno confidato a un cronista del New York Times l’esito del loro incontro a porte chiuse con Hillary, svoltosi lunedì. «Deve prevalere con ampio margine nel Texas e in Ohio altrimenti è fuori», ha dichiarato una fonte, confermata da altre: «Ormai è questo il tema cruciale della campagna».
Ma il richiamo di Obama è sempre più forte, soprattutto tra i superdelegati che non si sono ancora espressi. «Potremmo seguire il vento e sostenere il candidato che oggi ci sembra più forte», hanno dichiarato alcuni di loro, dietro garanzia di anonimato.
Parole raggelanti per l’ex first lady, che deve far fronte anche alla disaffezione dei finanziatori. «Credo che le cose non siano andate così bene come ci si aspettava dopo la vittoria nel supermartedì - ha affermato con insolita franchezza Alan Patricof, presidente di uno dei comitato pro Clinton -. E non possiamo aspettare fino al 4 marzo per il rilancio». Lei ha tentato di rassicurare tutti. Ai giornalisti ha spiegato che è stata superata la crisi di cassa, che a fine giugno aveva provocato un buco di cinque milioni di dollari nel budget della campagna, ripianato dai Clinton con fondi propri. «Riceviamo donazioni on line per 500mila dollari al giorno», ha spiegato; peccato però che il suo rivale ne raccolga esattamente il doppio.
E stando agli scommettitori la corsa è già decisa.

Una vittoria di Hillary alle presidenziali è data a 4, mentre quella di Obama a 2,1. Sul fronte repubblicano nessun dubbio su John McCain, pagato a 2,6. Come dire: il duello finale sarà tra l’eroe del Vietnam e il senatore di colore; i due candidati che l’America più ama.

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