Ieri i funerali di due delle vittime del massacro di Erba. Il paese si stringe intorno al tunisino e gli chiede perdono per averlo accusato: «Sul tuo conto abbiamo sbagliato tutto» «Potevano uccidere anche Azouz e Frigerio» Le motivazioni del gip di C

Il giudice scosso dalle immagini del massacro: «Dopo aver visto com’era stato ridotto il piccolo Youssef sono stata male tutta la notte»

nostro inviato a Erba (Como)
Potevano uccidere ancora. Con Olindo e Rosa liberi rischiavano la vita anche Mario Frigerio e Azouz Marzouk. Ecco perché il gip Nicoletta Cremona ha deciso di tenere in carcere la coppia assassina di Erba, capace di massacrare quattro persone. Il disegno criminale sarebbe stato compiuto solo con la morte del marito di Raffaella Castagna e dell’unico sopravvissuto alla strage. Perché Azouz sapeva delle liti e Frigerio aveva visto. Poi avevano pensato di fuggire, Olindo e Rosa. Lo direbbero alcune intercettazioni finite nelle mani del giudice, sconvolta dalle immagini del massacro: «Sono stata male una notte intera dopo aver visto le foto».
Le motivazioni della convalida dell’arresto arrivano nel giorno del dolore. Nel giorno di Carlo Castagna e la sua Paola. L’uno di fronte all’altra. Paola ai piedi dell’altare, avvolta in quella nuvola d’incenso che viene diffusa dal turibolo, Carlo che, entrato in chiesa quasi di soppiatto, un’ora e mezza prima che la funzione abbia inizio, per alcuni, lunghissimi minuti, tiene gli occhi fissi su quel feretro dove ha fatto appoggiare le foto di Raffaella e del nipotino Youssef.
Che strano funerale è mai questo. Terribilmente razionale, perfetto nei dettagli, sereno. Carlo che alza gli occhi al Cielo e contempla il «suo» Crocifisso. Che chiama ogni due minuti il giovane responsabile dell’accoglienza parrocchiale per scandire, nella Chiesa di Santa Maria Nascente, i tempi della cerimonia e organizzare al meglio ogni cosa: i posti per gli amici e le autorità, i fiori, le letture. Carlo che sembra lui far coraggio a chi gli porge la mano per le condoglianze. Che intona e canta con il sorriso sulle labbra, dall’inizio alla fine, l’intera, dolcissima colonna sonora dell’addio pietoso a sua moglie, dopo il rumore assordante e becero della follia omicida. Che strano funerale è mai questo, che incespica solo due volte nelle debolezze che dovrebbero essere più naturali in simili circostanze: le lacrime. Scoppia a piangere Beppe, uno dei due figli, quando il padre si reca all’altare per la prima lettura, tratta dal Libro della Sapienza: «... Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio...». E piangerà, anche lui, finalmente, il grande patriarca, ma solo alla fine, all’uscita. Quando regala l’ultimo bacio a Paola e si china sotto quel tetto di rose bianche che ricopre la bara. Paola la «nonna premurosa, colpita a morte proprio mentre compiva il gesto d’amore di ogni sera», come ricorda, nell’omelia, monsignor Bruno Molinari, vicario episcopale della diocesi di Milano. È, in disparte, seminascosto, alla sinistra dell’altare, Azouz Marzouk, il giovane tunisino che aveva deragliato dalla retta via, il genero cui il grande patriarca non perdonava di aver fatto breccia nel cuore della ribelle Raffaella.
Ma ecco che Carlo, l’uomo dell’abbraccio e della riconciliazione, sembra ricordarsi della parabola dello sposo che al banchetto nuziale invita a prendere un posto d’onore l’amico che aveva scelto di non mettersi in mostra. Fa chiamare Azouz, che si accomoda nel banco delle autorità civili accanto al sindaco di Erba, Ghioni. Ed ecco così anche lui, l’altro protagonista di questa storia, davanti all’altare, un altare cristiano lui che porterà Raffaella e Youssef in Tunisia per la sepoltura islamica, il reietto della prim’ora che, per il tempo di un giro di rotative, era diventato poche ore dopo il massacro di via Diaz, lo spietato assassino da cercare e punire alla svelta. Una circostanza di cui il paese sembra pentirsi. All’uscita dalla chiesa un piccolo capannello di erbesi gli si stringe attorno: «Ci devi scusare, sul tuo conto abbiamo sbagliato tutto».
Che strano funerale è mai questo dove è Azouz con gli occhiali scuri e la testa sempre china per tutta la funzione che sembra conquistare il cuore di molti. Sarà per quelle sue parole schiette e umane di vendetta e non di perdono, sarà per quel mazzo di fiori che nel pomeriggio fa recapitare a Montorfano nella chiesa di San Giovanni Evangelista dove si celebra l’altro più semplice, dimesso, ma forse più normale dei funerali. Dove i Castagna non ci sono. Ma dove un intero, minuscolo paese, dà l’addio a Valeria Cherubini, uccisa, come ricorda il parroco don Italo Brumana, «solo per quel suo gesto di prossimità, per quel suo accorrere in aiuto. Per quel far del bene che, spesso si ritorce contro chi lo fa».

E lì arriva anche un mazzo di gigli e rose bianche. Le manda Azouz. Con un messaggio: «Non ho parole per dimostrare la mia eterna riconoscenza per il coraggioso gesto di difesa che ha fatto nei confronti di tutti i miei cari».

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