Il rapporto tra politica e denaro in Italia merita una riflessione che vada oltre la demagogia e l'occasionalità degli scandali. Infatti la nostra società e i nostri ordinamenti sono pervasi da una cultura illiberale del tutto eccentrica rispetto al resto dell'Occidente capitalistico. Il modo in cui si sta discutendo del conflitto di interessi ne è una spia. È sì ovvio che in uno Stato democratico ordinato si pongano dei limiti agli abusi che potenzialmente si possono verificare con l'arricchimento privato a scapito del pubblico interesse. Ma il progetto del governo è orientato in tutt'altra direzione: in sostanza presuppone in origine che il denaro è esecrabile, che gli operatori economici sono dei potenziali corruttori, e che quindi occorra metterli al bando della politica come cittadini dai ridotti diritti elettorali.
In realtà dietro quest'animus giacobino si nasconde l'ostilità verso la libertà economica che vive nella società mentre, per converso, è apprezzata e incoraggiata la pretesa che lo Stato sovvenzioni e finanzi tutto e tutti. È perciò che la politica rappresenta una sanguisuga del denaro pubblico: i partiti pretendono soldi e soldi senza tentare di raccoglierne dai rispettivi sostenitori; i giornali vogliono essere sovvenzionati perché dicono di svolgere un servizio pubblico; 500.000 persone, dal Parlamento ai consigli di zona, rivendicano il diritto ad essere stipendiati a maggiore gloria dei partiti; e una valanga di consulenti, generalmente amici degli amici, affondano le finanze locali.
Ora perfino Bertinotti, quintessenza dello statalismo, apre un'indagine sui costi abnormi della politica, senza rendersi conto, forse, che si tratterà dell'ennesima sceneggiata in quanto nessun settore politico accetterà l'idea che lo Stato non è e non deve essere il gran benefattore. Basterebbe ricordare gli innumerevoli stipendi dati a vuoto da società pubbliche e parapubbliche, o la miriade di associazioni e i gruppi che, grazie ai padrini di partito, prendono soldi dallo Stato, cioè da tutti noi.
Questo, purtroppo, è il vero spirito italiano. Chi pratica l'iniziativa privata, l'economia libera, la concorrenza, chi rifiuta lo Stato interventista, è poco meno che un marziano che deve essere punito. Chi invece ritiene che lo Stato debba essere la grande mamma e il grande papà che tutto copre e paga, dal necessario al superfluo, dal consenso politico alle gratificazioni culturali, dagli sfizi personali ai bisogni sociali, è un cittadino modello.
Personalmente l'ho ripetuto fino alla noia. L'Italia non ha conosciuto la rivoluzione liberale fondata sui diritti individuali, la democrazia politica e la libera iniziativa: il denaro quindi è quasi considerato lo sterco del diavolo e non già uno strumento utile, oltre che per gli individui, anche per lo sviluppo della comunità.
Massimo Teodori
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