da Berlino
L'ambito Orso d'argento alla migliore attrice sarà consegnato solo il 18 febbraio, ma la Berlinale diventa subito competizione con La Môme e con Marion Cotillard, avvincente nei panni della tormentata Edith Piaf.
Signora Cotillard, come si è sentita in questo ruolo?
«La Piaf in Francia è un mito e per me questo è stato un esame».
È stata una prova estenuante?
«Ho lavorato sodo per oltre quattro mesi, giorno e notte, vedendo decine di filmati originali».
Qual è stata la parte più difficile?
«Ricalcarne i modi e carpirne il carisma».
Che cosa intende quando parla dei modi?
«Per l'artrite deformante, la Piaf era rigida e disarticolata, ma per la sua personalità ciò le calzava come un vezzo».
Signora Cotillard, lei è figlia d'arte, come Edith Piaf. Trova altri paralleli?
«Non proprio».
Mi spieghi meglio.
«Edith non aveva ambizioni artistiche vere e proprie. Cantava in strada per pagarsi da mangiare. E per puro caso è stata scoperta da un impresario».
E lei invece?
«Io sono stata molto fortunata e nel tepore di casa ho potuto sognare di fare l'attrice».
È stato difficile uscire dal ruolo?
«Ho trascorso settimane a ripulirmi».
Ingredienti del destino di Edith Piaf sono quelli delle rockstar: droga e alcol.
«È proprio vero. Per questo ho anche sovrapposto la sua figura a quella di Janis Joplin».
Perché proprio lei?
«Come la Piaf era una donna fin troppo sensibile la cui estrema fragilità è stata causa di scelte sbagliate».
Ascolta volentieri le sue canzoni?
«Da quando ho girato il film mi sono concessa una pausa».
Si è stufata?
«No. Ascoltandola mi viene un certo magone. Credo di essermi affezionata a questa artista».
Quindi lei avrebbe potuto esserne amica?
«Edith Piaf era una vera star, egoista e tiranna al punto giusto.
Perché il regista Olivier Dahan ha omesso episodi importanti della sua vita?
«Questo è stato un punto chiaro fin dall'inizio del mio lavoro con Olivier. Per lui era il ritratto più importante della biografia».
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