Da Renato Zero a Vanoni. C'è chi dice no (al ritiro)

Molti giovani si prendono una pausa dopo pochi anni di carriera. Mentre i "vecchi" resistono. Perché?

Da Renato Zero a Vanoni. C'è chi dice no (al ritiro)

Però ci sono anche gli altri. Gli altri che non mollano, che da decenni continuano a fare musica e concerti, senza fermarsi, giocando sempre come se fosse la prima volta o quasi.

In queste settimane si parla molto, e giustamente, di giovani artisti sulla cresta dell'onda, anzi dello stream, che decidono di prendersi una pausa, di mettere se stessi prima del resto, di ritrovare un equilibrio che le raffiche del successo hanno fatto perdere con la velocità di un selfie. Sangiovanni, ovvio: «A volte bisogna avere il coraggio di fermarsi e sono qui per condividere con voi che ho deciso di farlo», ha annunciato dopo il Festival di Sanremo. Tra il serio e il (poco) faceto, anche Blanco ha lasciato pubblicamente trapelare questa intenzione, mentre Lorenzo Fragola ha appena ammesso al Messaggero che dopo XFactor è «andato in terapia per gli attacchi di panico, ma erano gli effetti di qualcosa di profondo: c'entrava anche il lavoro».

E non è soltanto una tendenza italiana, ci mancherebbe. La 31enne Selena Gomez ripete puntualmente dal 2021 che vuole ritirarsi e ha appena annunciato «di avere in me soltanto un altro album» e Justin Timberlake non ha problemi a mettere tra parentesi la propria carriera per mesi, anche anni. Lo ha fatto nel 2019 e pure a novembre dell'anno scorso si è rifiugiato in Messico con la famiglia dopo essere diventato «l'uomo più odiato del momento» dopo le rivelazioni dell'ex fidanzata Britney Spears nel proprio libro.

Insomma, quello di Sangiovanni non è un caso isolato, anzi, è proprio una tendenza. Come ha rivelato qualche giorno fa Mr.Rain (che peraltro non ha alcuna intenzione di ritirarsi), le pressioni e la sovraesposizione da social sono sempre più difficili da sopportare e quindi bisogna imparare a dosarsi: «Tra seguire un trend e lasciare un segno, io scelgo la seconda». Insomma, continua. Ma altri no e di certo è un problema inedito nel mondo musicale. Fino a poco tempo fa, un artista annunciava il ritiro soltanto in casi rarissimi, ossia quando era proprio impossibile andare avanti. Invece oggi «tanti non si vergognano più di fermarsi», come dice proprio Mr Rain. Perché? Di certo le parole di Ghemon sono vicine al bersaglio: «L'industria musicale attuale promuove un modo di pensare ed agire inquinato dal culto dei numeri e dei sold out che sta determinando più danni di quello che il pubblico può vedere». In effetti i ritmi di pubblicazione di nuovi brani e di esposizione sui social sono da catena di montaggio alla Tempi Moderni di Charlie Chaplin. Uno dietro l'altro. Senza pausa. Negli ultimi sessant'anni le pubblicazioni, i tour e le apparizioni di tutti gli artisti pop, dalla più grande delle rockstar all'ultimo degli esordienti, sono stati molto calibrati, dosati con attenzione, spesso diluiti così tanto da arrivare alla soglia dell'oblio.

Tanto per capirci, fino a pochi anni fa, ogni cantante arrivava in gara al Festival di Sanremo dopo una lunga assenza dal mercato. Talvolta era una assenza dovuta alla scarsa ispirazione. Altre alla comprensibile strategia di chi vuole giocarsi al meglio le proprie possibilità e ha l'appoggio della discografia. Ogni artista ha fisiologicamente bisogno di ricaricarsi e trovare l'ispirazione per continuare a essere creativo. Altrimenti è destinato a ripetersi. Oppure a esaurirsi. Come accade adesso, sempre più frequentemente. Quindi onore a chi, come Giovanni Pietro Damian detto Sangiovanni, ha il coraggio di annunciare coram populo che adesso basta, ho bisogno di una pausa per ritrovarmi. Ma onore anche a chi, come Renato Zero, dopo cinquant'anni di carriera, ha ancora voglia di pubblicare un disco dietro l'altro e di fare concerti sorretti da una idea, da una scenografia, da un progetto. «Niente pensione, a 73 anni suonati mi permetto ancora qualche passetto di danza. A casa ci sto malvolentieri, preferisco il camerino» ha detto l'altro giorno prima dell'ennesimo debutto sul palco (stavolta a Firenze). Idem Vasco Rossi, anni 72, che regolarmente riempie gli stadi d'estate e le playlist durante tutto l'anno. Per non dire di Ornella Vanoni, che a settembre compirà 90 anni (dicesi 90) e ha già messo in prevendita i concerti del 27 e 28 aprile agli Arcimboldi di Milano. Il titolo è abbastanza prevedibile, oltre che allusivo: Senza fine. Poi ci sono i Pooh, che proprio non ce l'hanno fatta a fermarsi e si sono rimessi in pista ritrovando lo stesso entusiasmo del pubblico. Invece i Nomadi non si sono mai fermati e adesso siamo a 62 anni di carriera, roba da applausi.

Insomma perché loro sì e i giovanissimi no? Perché loro possono contare su un repertorio costruito nei decenni e quindi sfuggire all'«obbligo» di sfornare grandi brani uno dietro l'altro.

Chi invece deve diventare un «classico» in quattro e quattr'otto rischia di nebulizzarsi sotto la gigantesca pressione dell'industria. E non è una questione che «solo i più forti resistono». Forse anche mezzo secolo fa i Rolling Stones si sarebbero disfatti se fossero stati obbligati a fare dieci storie su Instagram al giorno.

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