Quando ha capito che per essere cremato da buon credente il suo corpo sarebbe stato infilato in un forno industriale e non posto sopra una pira a cielo aperto, ha reclamato il diritto di veder rispettate le sue tradizioni. La cremazione nella religione Indu è infatti il passaggio fondamentale per permettere all'anima di raggiungere il più rapidamente possibile una nuova dimensione, evento non realizzabile finché il vecchio corpo esiste come tale. Dopo aver ricevuto una risposta negativa dall'Alta Corte, il fedele ha deciso di rivolgersi alla Corte d'Appello.
Essere cremato come dio comanda non è infatti una cerimonia tanto semplici, ma prevede una serie di prescrizioni ben precise. innanzitutto la cerimonia dovrebbe avvenire lo stesso giorno. I riti variano poi a seconda di molti fattori, ma le linee dettate dai «Purana» indicano che il cadavere debba venir lavato e vestito con abiti tradizionali nuovi. Poi adagiato prima sul suolo, e lì commemorato da parenti e amici, e in seguito su una di barella in legno, adornata di fiori coi quali si ricoprirà lo stesso defunto. A quel punto il corpo viene denudato e coperto da un telo che varia di colore a seconda del sesso e dello stato civile e l'età, coi pollici e gli alluci legati insieme.
I parenti maschi del defunto portano la barella sulle spalle fino al luogo della cremazione, se possibile passando per luoghi che furono significativi durante la vita appena spenta. Il luogo della cremazione, chiamato «Shmashana», si trova tradizionalmente sulle rive di un fiume o del mare. Il corpo viene posto con il volto verso Sud; tutti gli eventuali gioielli vengono rimossi e si pone dello sterco di vacca sul petto del defunto. Quindi, dopo aver provveduto ad altre incombenze, la pira viene accesa. Sovrintende il rito il figlio maschio primogenito se il defunto è il padre, l'ultimogenito se la madre. Dopo due, tre giorni la persona che ha presieduto i riti tornerà allo «Shmashana» per recuperare le ceneri del defunto poi dispersi, accompagnati da fiori e lampade votive, in un fiume o in altre acque considerate sacre in una cerimonia chiamata «Visarjanam».
Questo è grosso modo quel che richiede mister Davender Ghai, 71 anni, cittadino britannico residente a Newcastle, che pretende il diritto di essere cremato su una tradizionale pira a cielo aperto per «far sì che l'anima sorga dalle fiamme come la mitica fenice». Ghai per questo si era rivolto già lo scorso anno all'Alta Corte, che gli aveva però dato torto, stabilendo che tutte le cremazioni devono avere luogo in un apposito «edificio», che secondo l'avvocatura dello Stato si intende dotato di pareti e tetto.
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