«Ero riuscito a catturare così bene ogni minima espressione di Marianne che il suo carattere mi appariva più leggibile sulla tela che sul suo viso. E in quell'occhio che mi fissava di nascosto avevo scoperto uno strano luccichio che mi turbava. Una scintilla che sembrava estranea al resto della sua persona e che denotava un'attenzione insistente, quasi fastidiosa nella sua fissità». Chi parla (e scrive in prima persona) è Daniel Mermet, un pittore dotato di talento, ma non delle qualità necessarie per trasformarlo in franchi sonanti. Si trova a Cestelldefels, a pochi chilometri da Barcellona, e alloggia in una modesta pensione in riva al mare. Marianne, la sua modella, non l'ha incontrata a Parigi durante un vernissage, né in un bistrot, né a una soirée. Le loro vite si sono incrociate nell'istante in cui quella di lei ha rischiato di finire. Ma forse non dovremmo usare il verbo «rischiare», perché a lui è parso che lei avesse cercato la morte, uscendo dall'oscurità al lato della strada e parandosi di fronte alla sua automobile... Comunque, pericolo scampato, per Marianne soltanto una ferita a un gomito e qualche ematoma. A morire è stato soltanto il suo violino. «L'oggetto più triste del mondo? Credo sia un violino rotto. Ma è stata la vista della custodia sfondata sulla strada, con le corde dello strumento che fuoriuscivano, a stringermi il cuore più di tutto». Lei è bellissima, e, a quanto pare, francese. Ma dice di non ricordare nulla del proprio passato. È tutta colpa dello shock o c'è dell'altro?
C'è dell'altro, molto altro, e Frédéric Dard (1921-2000), autore nel '56 di Le bourreau pleure, ovvero «Il boia piange», diventato Negli occhi di Marianne per Rizzoli nella prima edizione italiana (pagg. 218, euro 14, traduzione di Elena Cappellini), ce lo rivela a tempo debito. Cioè dopo averci relazionato sulla storia d'amore fra l'artista, sopraffatto dalla voglia di sapere, e la smemorata, che gli si affida totalmente, dicendogli: «Tu sei il mio creatore, sei mio padre, mia madre, mio fratello, il mio amante...». Ma a volte cercare con troppa passione, con troppo coinvolgimento la verità può diventare pericoloso, sia per chi prima la insegue e poi, una volta trovata, la vuole modificare, sia per chi ne è stata protagonista. Del resto, così medita Daniel: «Quando è sincero, l'amore si avvicina sempre alla morte». In Marianne, Dard mette un po' della giovanissima Louise di Gli scellerati e un po' della seducente Marthe di Il montacarichi, un eterno femminino che ha nel suo manifestarsi fra un'ombra e l'altra, fra un silenzio e l'altro il motivo del proprio fascino. Daniel, muovendosi sulla base di flebili indizi (e corroborandoli con un rosario di bugie), lasciata per qualche giorno Marianne nella rovente Catalogna si precipita prima a Parigi e poi nella vicina Saint-Germain-en-Laye. Dove finalmente toglie il velo che nascondeva l'orrore. «Neanche Zola era riuscito a immaginare una storia più sordida». Questo è il sigillo che Dard, tramite Daniel, impone a una storia nerissima.
E che diventa ancora più nera quando il pittore torna nel suo rifugio spagnolo. Di fronte si trova una donna diversa da quella che gli ha da poco preso il cuore. Una donna che lui, inconsapevolmente, aveva ritratto con negli occhi «uno strano luccichio».
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