Gli inglesi bocciano i laburisti Il «blairismo» è al capolinea

Il partito di Gordon Brown crolla al 24%, e perde anche la seconda posizione superato dai liberali

Forse la fine di un’epoca, quella di un partito laburista che noi italiani abbiamo spesso invidiato ai britannici. Era il partito di Blair, moderno, affascinante, seducente; forse troppo e per questo sovente ingannevole. Annunciò la rivoluzione del 1997, spazzando via alle elezioni comunali, due anni prima, i conservatori dell’allora premier John Major. Certo, oggi nessuno può prevedere l’esito delle prossime elezioni politiche britanniche, che si terranno entro il maggio 2010, ma le analogie sono impressionanti. A ruoli invertiti.
Giovedì a uscire distrutto dal voto locale in Scozia e Inghilterra è stato il partito laburista del primo ministro Gordon Brown. Ha perso oltre 330 seggi (peggior risultato in 40 anni), finendo addirittura terzo con il 24% dei voti, staccato non solo dal trionfante Partito conservatore guidato da David Cameron, che ha ottenuto il 44% dei consensi e guadagnato 256 consiglieri rispetto alle precedenti elezioni, ma anche dal Partito liberaldemocratico, giunto secondo con il 25%. Una marea blu: oggi 65 città sono controllate dalla destra moderata, solo 18 dai socialisti. Tra queste una conta più di tutte: Londra. Mancano i risultati definitivi, ma la tendenza è chiara. La capitale da otto anni era il feudo di Livingstone, noto come Ken il rosso; ma da domani sarà amministrata da Boris Johnson, 44 anni, una delle penne più vivaci e controverse della stampa di destra. Un provocatore, che all’inizio della campagna sembrava avere poche chances. E invece ce l’ha fatta, cavalcando un malessere sociale che è profondo e trova origine nella crisi dei subprime.
Come l’economia americana, anche quella britannica da anni va a credito, sia per le case sia per le spese correnti, sostenute in buona parte tramite le carte di credito a rimborso dilazionato. Così, con il passare degli anni, l’indebitamento dei nuclei familiari ha raggiunto picchi elevati; un indebitamento che sembrava fisiologico, ma il crollo del mercato finanziario ha riportato tutti alla realtà. Il mercato immobiliare si è fermato e i prezzi hanno cominciato a scendere, i consumatori si sono visti imporre clausole molto severe per la concessione delle carte di credito e a tassi sempre più elevati. Da qualche mese i fallimenti personali sono in drammatica ascesa. Ne hanno risentito le classi più disagiate, ma anche quelle medie. E la rabbia si è sfogata su un partito che gestisce il Paese da undici anni, durante i quali si è prodigato per spingere i consumatori su questa strada.
Fino al 2007 il premier era Tony Blair, ma Gordon Brown era il suo ministro delle Finanze e quell’eredità non l’ha mai rinnegata, a dispetto della nota antipatia tra i due. Di suo, il nuovo capo del governo, non ha certo brillato. Pur avendo fama di brillante economista, ha preso decisioni impopolari e poco lungimiranti. Quando è scoppiata la bolla dei subprime, si è dimostrato ondivago, contribuendo ad alimentare l’apprensione dei cittadini, che invece chiedevano di essere rassicurati. Nel frattempo ha abolito la fascia di tassazione del 10 per cento per i redditi più bassi, rendendo ancor più pesante la situazione di chi stenta ad arrivare alla fine del mese. Ma nemmeno le classi alte lo amano, perché Brown ha annunciato tasse sui ricchi che vivono nel Regno unito con lo status di non domiciliati ovvero petrolieri russi alla Abramovich o magnati indiani alla Mittal. In tutto 120mila persone che ora intendono lasciare la Gran Bretagna. Non votano, ma per anni hanno garantito un indotto straordinario che ha portato benessere e impieghi a decine di migliaia di persone, che ora rischiano la disoccupazione. Insomma, un disastro.
Certo, nessuno rimpiange Tony Blair, il cui New Labour era incentrato sullo spin ovvero su una comunicazione sfavillante e spregiudicata, ma solo in parte suffragata dai fatti. L’Economist la definì una «macchina superenergica di pubbliche relazioni», che ha permesso al governo di vendersi per dieci anni, con molte bugie e pochi rimorsi. E non è un caso che lo stesso Brown abbia ripudiato, perlomeno inizialmente, le tecniche mediatiche del suo predecessore e di Alastair Campbell. approccio.
Ma Blair era carismatico, lui no. È noioso, prevedibile, spesso imbronciato. L’avversario ideale per il leader del partito conservatore, David Cameron, che è giovane, spigliato e comunicativo. È ideologicamente eclettico: liberale sì, ma un po’ verde e anche un po’ sociale. Verosimilmente è un Blair di destra, ma gli elettori non se ne sono ancora accorti e per ora si lasciano incantare. Salvo colpi di scena è destinato a diventare il prossimo capo del governo.

E comunque ha già lasciato il segno. Fu lui qualche settimana fa, in Parlamento, a stroncare Brown con queste parole: «Il Labour si è accorto di avere non un leader, ma un perdente». Profetico, non c’è che dire.
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