Cause, sintomi, chi è a rischio: la malattia delle "nuvola di fumo" che colpisce il cervello

Si è svolto il convegno “Moyamoya Day”, organizzato dalla neurologa Anna Bersano una delle massime esperte di una malattia rara, la Moyamoya, definita comunemente “nuvola di fumo”. Ecco di cosa si tratta e chi colpisce

Dott.ssa Anna Bersano, Direttore - Neurologia 9 - Malattie Cerebrovascolari, organizzatrice del "Moyamoya day"
Dott.ssa Anna Bersano, Direttore - Neurologia 9 - Malattie Cerebrovascolari, organizzatrice del "Moyamoya day"
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C'è una malattia rara che colpisce il cervello, di cui si sa poco e che ha un nome un po' particolare: “Moyamoya”, che in giapponese vuol dire “nuvola di fumo”. Ed è proprio così che viene normalmente definita perché sia durante l'angiografia cerebrale ma anche eseguendo una risonanza magnetica per diagnosticarla, il cervello sembra avvolto in una nuvola di fumo.

Di cosa si tratta?

Secondo gli specialisti questo "fumo" sarebbe dovuto ad una rete di vasi fragili che l’organismo dei malati sviluppa per tentare di superare il problema originario della stenosi, ovvero il restringimento progressivo, fino ad arrivare all'ostruzione, delle arterie pre-cerebrali e cerebrali ed in particolare le carotidi e le loro diramazioni. In pratica la "nuvola di fumo" che compare negli esami è il tratto distintivo della malattia.

È bene chiarire subito che si tratta di una malattia rara che porta a varie problematiche, di cui, le più gravi, ictus ischemici, dovuti al mancato apporto di sangue per via dell'ostrusione o anche agli ictus emorragici (per la rottura dei fragili vasi della “nuvola”, o per un aneurisma, una dilatazione anomala della parete arteriosa), che possono avvenire anche in persone molto giovani.

La diffusione

Si tratta di una malattia duffusa soprattutto in Asia, con incidenza importante che arriva ad esempio in Giappone allo 0,54 casi per centomila abitanti mentre in occidente è circa dieci volte in meno, tra lo 0,047 e l'0,86 casi ogni 100mila persone, anche se recenti studi portano a pensare che il numero sia sottostimato.

Altra caratteristica è quella che in occidente la malattia si manifesta con modalità diverse; ad esempio non si osservano, come invece succede in Asia, i due picchi d'esordio, intorno ai 15 e ai 30 anni e mentre: "Nei Paesi orientali è stato individuato un gene, Rnf 213, molto frequente sia nei casi familiari che in quelli sporadici, in Occidente non sembra al momento esserci una base genetica”, come spiega la primaria della Neurologia 9 dell’Irccs Besta di Milano, Anna Bersano, che ieri, 13 dicembre, ha organizzato il convegno: “Moyamoya Day”, alla presenza dei massimi esperti della malattia al mondo.

Il convegno

Presenti alla giornata di lavori il neurologo Dominique Hervé dell’Hôpital Lariboisière di Parigi, Peter Vajkoczy della Charité di Berlino, i neurochirurghi Marco Pavanello del Gaslini di Genova e Francesco Acerbi, ex Besta, oggi all’Ospedale universitario di Pisa. Proprio il Besta è in Italia il centro di riferimento per la Moyamoya e segue oltre cento dei circa 250 malati censiti a livello nazionale; gestendo anche il registro che documenta tutti i casi e i campioni sui quali fa ricerca: “Per individuare marcatori biologici e clinici, anche con l’intelligenza artificiale", aggiunge la dottoressa.

"Dal 2019 abbiamo un progetto in collaborazione col Gaslini per la parte pediatrica .– dice ancora Anna Bersano – Siamo riconosciuti come centro europeo e nella rete Vascern lavoriamo alla creazione di registri europei, fondamentali per una malattia rara. Nel 2023, col supporto della European Stroke Organization, abbiamo coordinato la stesura delle linee guida europee per la malattia Moyamoya”.

Le linee guida

Si parte dall'intervento chirurgico di rivascolarizzazione: “Con una tecnica combinata, diretta e indiretta al quale sono stati sottoposti circa metà dei pazienti sia adulti che pediatrici e che ha mostrato di ridurre la frequenza di eventi ischemici ed emorragici”. In sostanza il primo approccio è quello dei neurochirurghi che:"Disegnano nuovi percorsi per garantire il flusso di sangue al cervello: quello che il corpo umano prova a fare da solo con la “nuvola”, ma in maniera efficiente".

Da cosa è provocata la malattia

In questo ambito la ricerca, nonostante i grandi passi avanti brancola ancora nel buio: "Non sappiamo cosa determini la stenosi progressiva dei vasi, non abbiamo ad oggi un trattamento per farla regredire, ma tra le conseguenze che può provocare, come disturbi del movimento e cognitivi, cefalea, crisi epilettiche, l’ictus è la più severa e la più frequente, dato che colpisce quasi l’80% dei pazienti. Poter ridurre questo rischio in persone giovani, e le sue conseguenze anche dal punto di vista sociale e di sanità pubblica, ha cambiato la storia della cura di questa malattia".

La dottoressa Bersano aggiunge poi:

"L’intervento deve essere eseguito in centri specializzati, ma il nostro è anche un lavoro di diffusione di consapevolezza su questa patologia, per migliorare il percorso di diagnosi e il follow-up dei pazienti".

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