Ora per salvare Pompei c'è lo sceicco del Kuwait

Franceschini: "Sì ai privati, basta ideologie". Finalmente. Ma Resta l'incapacità di gestire il nostro patrimonio storico

Gli scavi di Pompei dovrebbero rappresentare per l'Italia l'urlo infinito del tempo. Sono invece poco più di uno starnuto. I visitatori stranieri (percentualmente pochi rispetto alle enormi potenzialità del sito archeologico più affascinante del mondo) non capiscono come il nostro Paese sprechi un simile patrimonio; i visitatori italiani lo capiscono invece benissimo. L'Italia possiede, paradossalmente, «troppi» tesori artistici. Una distesa, da Nord a Sud, di meraviglie storiche che lo Stato non riesce a gestire in un mix di incapacità tecniche, insensibilità politiche e mancanza di fondi. Alle prime due carenze è difficile rimediare, la terza è invece affrontabile ricorrendo a risorse «alternative». «Basta ideologie, sì ai privati per contribuire a salvare il nostro patrimonio artistico». Lo ha detto ieri il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, non proprio un mostro di autorevolezza e coerenza. Ma questo passa il convento, bisogna accontentarsi. L'annuncio di Franceschini - lanciato ieri da Pompei in occasione della riapertura di tre domus - è pienamente condivisibile. Se pur terribilmente tardivo. Meglio tardi che mai, comunque. Ammesso che poi qualcosa - in questa sorta di svolta liberal-archeologica, si faccia davvero. Perché qui, al momento, siamo solo a livello di proclami (fumosi) e sceneggiate (demagogiche). Come la pantomima di Franceschini per pagare personalmente il biglietto di ingresso agli scavi (Merkel docet). Roba buona per i giornalisti a seguito, ma di concreto - per il futuro di Pompei - cosa c'è?

La risposta che l'altroieri Franceschini ha dato a una domanda precisa postagli dal Mattino di Napoli apre alla speranza.

Il quesito posto al ministro era il seguente: «Per Pompei arrivano continuamente manifestazioni d'interesse dagli stranieri: avete già avuto dei contatti?».

Ecco la replica di Franceschini: «Ho ricevuto l'Ambasciatore del Kuwait, lo sceicco Ali Kahled Al-Sabah, con il quale ho avuto un lungo e cordiale colloquio. Il loro interesse nei riguardi di Pompei è forte e sincero. Questi incontri, però, saranno sicuramente più produttivi quando avremo elaborato la convenzione tipo. A quel punto non ci saranno più scuse, i gruppi stranieri, così come le imprese italiane che in questi ultimi tempi hanno annunciato alla stampa la loro intenzione di sostenere Pompei, troveranno interlocutori certi e strumenti affidabili».

Ciò, tiene però a precisare il ministro, «non si sostituirà all'intervento del pubblico che dovrà essere rimodulato, creando le condizioni per una convenzione sul modello di Ercolano e incentivi fiscali per i privati che fanno un atto di liberalità per il patrimonio culturale del Paese».

Una svolta bla bla salutata con entusiasmo all'interno del partito democratico, colto da improvvisa amnesia rispetto alla sua storica «guerra ideologica anti-privati» (ad esempio nel mondo della scuola) che oggi pare voler rinnegare. Andrea Marcucci (Pd), presidente della commissione cultura al Senato, sembra nato ieri e dice: «Ben vengano forme di intervento dei privati a sostegno e tutela dei beni culturali, un settore centrale nel nostro Paese, che ha risentito fortemente dei tagli di spesa pubblica». E poi: «Ha fatto bene il ministro Franceschini a sottolineare che alla vigilia di una manovra di spending review, il contributo dei privati può offrire un importante aiuto». Ma i privati, si sa, non fanno nulla per nulla. E quindi, quelli che oggi sono d'accordo con la premiata ditta Franceschini&Marcucci, evitino domani di stracciarsi le veste quando gli sponsor (magari stranieri, o più precisamente arabi come lo sceicco del Kuwait) passeranno «all'incasso».

Ma torniamo ai cocci di Pompei da «rincollare».

«Per questo sito - ha concluso il ministro dei Beni culturali - c'è terreno da recuperare, ci sono scadenze, l'impegno è lavorare per rispettare i tempi. Un obiettivo non facile ma al quale si punta con tutta la nostra buona volontà. Ma non abbiamo la bacchetta magica». Circostanza, purtroppo, ben nota a tutti.

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