Ci sono Libertà con la maiuscola e libertà minori, con la minuscola, come quelle che riguardano il destino di Alessandro Sallusti. La libertà di stampa a lettere cubitali si applica se quello che rischia il bavaglio o le manette appartiene a un certo mondo, ha la faccia giusta, per cultura e carattere si veste da vittima non appena gli pestano un piede. Pensate solo se questa storia fosse capitata a uno come Santoro, o a un qualsiasi direttore di giornale con la faccia giusta. Tutti in piazza a piangere per la libertà di stampa soffocata, tradita, stuprata, malmenata, manganellata e giù fiumi di indignazione e di vergogna, magari rispolverando le lettere di Gramsci dal carcere e la lotta ai nuovi regimi.
Ecco, in questo caso tutti avrebbero parlato di Libertà. Per Sallusti no, per Sallusti la libertà stuprata ha lo stesso peso di un lavandino otturato, una questione da poco. Ma di che vi lamentate? Chiamate un idraulico o ricorrete ai servizi sociali. Con Sallusti il ragionamento è sempre più o meno questo: sì, magari il carcere è eccessivo, ma se i giudici lo sbattono al gabbio qualcosa di male avrà fatto, se lo è meritato. Sallusti paga a prescindere. Perché? Semplice, perché è Sallusti. È l'ingiustizia ad personam.
Questo modo di ragionare fa ancora più rabbrividire se fa da rumore di fondo alle valutazioni di un emerito giudice costituzionale. Se si chiede a Gustavo Zagrebelsky, come fa Repubblica, cosa pensa del caso Sallusti, la sua risposta parte così: «Lasciamo da parte per un momento la libertà di stampa con la L maiuscola. Parliamo del caso specifico». Per il direttore del Giornale non c'è quindi bisogno di scomodare la libertà di stampa. È solo un caso specifico, una questione personale tra lui e i giudici. Zagrebelsky ammette che forse il carcere, come pena, non è adeguata. Ma la sua storia non fa scattare alcun campanello di allarme. Non fa scandalo. «Va detto - precisa - che nel caso dell'articolo in questione non si tratta di opinioni, ma dell'attribuzione di fatti determinati risultati palesemente falsi. Il reato consiste nell'omessa vigilanza».
Quello che Zagrebelsky non dice, o finge di dimenticare, è il motivo per cui Sallusti finisce in carcere. Ci va perché un giudice di Corte d'appello gli ha affibbiato la pena accessoria di uomo socialmente pericoloso. Ripetiamo: socialmente pericoloso. Un direttore condannato per omesso controllo viene etichettato da un giudice socialmente pericoloso. E lo fa in pieno arbitrio, per una sua valutazione personale. Quasi a sottolineare che Sallusti, che non è neppure l'autore dell'articolo diffamatorio, sia un serial killer della penna. Allora la domanda centrale è: da quando i direttori di giornali vengono condannati come socialmente pericolosi in virtù del loro lavoro giornalistico? E in base a quale criterio? La lista dei direttori condannati per responsabilità oggettiva è quasi infinita. Come mai solo a Sallusti un giudice s'inventa la pena accessoria del socialmente pericoloso? Per antipatia personale? Perché il diffamato è un giudice, e quindi per vendetta di casta? In ogni caso questo è arbitrio. È il pollice verso dell'imperatore romano. E a Sallusti non resta che dire: Ave giudice, morituri te salutant.
Zagrebelsky a queste domande non risponde.
L'arbitrio non indigna il principe dei costituzionalisti italiani. O meglio, non lo indigna in questo caso. Di cosa stiamo parlando in fondo? Quella di Sallusti è una libertà di stampa con la lettera minuscola. Una libertà da poco. Vada in carcere o si faccia rieducare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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