Roma - Si era parlato di una riunione della Direzione Pd in settimana, invece l'appuntamento slitta alla prossima. Alla vigilia, in pratica, dell'inizio delle procedure di elezione del presidente della Repubblica.
Nel frattempo, con Bersani che fa sapere di essere «ancora in campo», lo scontro interno è costretto a restare ancora sotto traccia. Ma che nel partito stiano convivendo a forza due linee ormai divergenti lo si percepisce da molti segnali. Domenica Dario Franceschini, intervistato da Lucia Annunziata su Rai3, ha dato voce con chiarezza a una posizione assai lontana dall'arrocco del segretario: «La sinistra e il Pd - ha scandito - devono togliersi quest'aria di superiorità. A volte abbiamo una presunzione tale da pensare che dovremmo sceglierci anche gli avversari». E se non fosse chiaro, ha avvertito: «Il centrodestra ha preso un terzo dei voti degli italiani, ed è un atto di presunzione pensare che parlare e confrontarci con Berlusconi e la Lega equivalga a sporcarci le mani». In pratica un netto benservito al mantra («Nessun accordo con Berlusconi») dietro cui continua a barricarsi il segretario del Pd, un'apertura a quel possibile governo di larghe intese di cui Napolitano sta cercando di gettare le basi con la contestata mossa dei saggi, e anche un chiaro segnale al centrodestra in vista della partita più importante, quella per il Quirinale. Che sarà, come dicono tutti, il vero punto di svolta per le sorti di una legislatura nata sotto pessimi auspici.
Romano Prodi sta scaldando i motori, e pare essersi reso conto che difficilmente le sue ambizioni presidenziali avranno successo se apparirà come il candidato di bandiera della sinistra antiberlusconiana che spera ancora nell'intesa coi grillini. Nel corpaccione parlamentare del Pd, su una linea del genere, Prodi rischia di perdere molto terreno: «Quanti di noi lo voterebbero? - calcola un parlamentare Pd di lunga esperienza - forse neanche la metà del gruppo parlamentare: ex Ppi, renziani, veltroniani, dalemiani sono tutti pronti ad impallinarlo nell'urna». E uno dei veltroniani evocati conferma: «Non ha senso, in una situazione in cui rappresentiamo a mala pena un terzo dell'elettorato, proporre un nome che sarebbe un calcio nei denti per un altro terzo». Forse consapevole di questi umori, l'ex premier ieri (da San Marino) ha iniziato a indossare panni più ecumenici, tessendo gli elogi della «democrazia dialogante». Intanto, con il lavorio dei saggi e il nuovo presidente di mezzo, la data di un (probabile) voto anticipato viene data da molti ormai posticipata all'autunno, e rischia di incrociare quella del futuro congresso Pd. Matteo Renzi, temendo la trappola del voto a giugno che Bersani ha tentato di perseguire per tagliargli la strada, lavora d'anticipo ed è già in campagna elettorale, pronto a ogni evenienza. E certo (cosa che i sondaggi quotidianamente gli confermano) di poter sbaragliare qualunque concorrente.
Compreso Fabrizio
Barca, ottimo ministro del governo Monti ma ancora troppo poco popolare per competere con il lanciatissimo sindaco. E compresa Laura Boldrini, la neo-presidente della Camera che Sel sogna di ergere a bandiera della sinistra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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