A certi la galera, ad altri una sculacciata

Repubblica dipinge il Cav come il "grande corruttore. Ma nella sentenza Mediaset ci sono troppe incongruenze: ecco quali sono

A certi la galera, ad altri una sculacciata

Ieri l'articolo di fondo della Repubblica aveva questo titolo: «Il grande corruttore». Indovinate a chi si riferiva? A Silvio Berlusconi. Abbiamo dato una scorsa al testo, ricco di informazioni istruttive, e vi abbiamo trovato la conferma che la condanna in Appello rimediata dal Cavaliere è dovuta a frode fiscale per 7 milioni di euro. Tanta roba per un italiano medio che si arrabatti con un reddito annuo di 50mila euro lordi (e non abbiamo preso in considerazione i titolari di somme inferiori per ragioni umanitarie). Ma poca se teniamo conto che le aziende del Biscione sono quasi sempre state in vetta alla classifica dei maggiori contribuenti.
Ci si domanda: perché mai un'impresa che versava centinaia e centinaia di milioni al fisco si riduceva a fregare la «miseria» di 7 milioni ben conoscendo i rischi che ciò comportava? Il gioco - come si dice - non valeva la candela. Che Berlusconi fosse tanto stupido da rincorrere gli «spiccioli» lasciando perdere il malloppo? Ci pare strano. Un grande corruttore, per essere grande, fa l'esatto contrario: non spreca energie allo scopo di prendere 7 trascurando 70. In effetti, risulta che alcuni personaggi di spicco siano sotto inchiesta, avendo evaso tasse per cifre mostruosamente più alte nell'interesse (mica tanto onesto) di fior di banche.
Come mai costoro non vengono perseguiti con la stessa ferocia con cui è stato indagato e processato il leader del Pdl per molto meno? Da notare che questi, a differenza dei succitati banchieri di lusso, da anni non ricopre cariche nelle società che ha fondato. Nonostante ciò la giustizia si accanisce su di lui e soltanto su di lui, sorvolando sui dirigenti che di fatto guidavano e guidano l'azienda formalmente e anche sostanzialmente.
Converrà l'autore del pezzo pubblicato sulla Repubblica, Massimo Giannini, che siamo di fronte a un mistero scarsamente gaudioso. Si dà il caso che il Cavaliere dall'inizio degli anni Novanta, essendosi gettato a corpo morto nel maledetto mondo della politica, volente o nolente abbia abbandonato il Biscione nelle mani di un management al quale risalgono quindi le responsabilità legali di ogni attività - lecita e/o illecita - del gruppo.
Abbiamo detto dei banchieri evasori (secondo le accuse) che finora non hanno pagato il fio né, suppongo, lo pagheranno in futuro, e che continuano imperterriti a svolgere serenamente professioni varie. Ma, anche scendendo molto più in basso, si verifica che non saldare le imposte è un peccato talvolta meritevole di indulgenza quasi plenaria: parecchi campioni dello sport (motociclismo, calcio eccetera) furono beccati con le mani nella marmellata eppure pressoché ignorati dalla giustizia penale. Si badi bene, non invochiamo le manette per nessuno: ci limitiamo a segnalare un abuso di doppiopesismo nella valutazione dei comportamenti scorretti dei contribuenti. Per alcuni la galera, per altri una sculacciata.
La sculacciata consiste nella convocazione negli uffici delle tasse del furbetto, al quale viene proposta una transazione: ci devi 10 milioni di euro, ce ne dai subito (o a rate) 5 e chiudiamo la pratica. Stretta di mano, pacca sulla spalla arrivederci e grazie.

Non facciamo nomi per carità di patria, ma questa è la realtà che peraltro i giornali a suo tempo descrissero con dovizia di particolari.
Ora noi non desideriamo polemizzare con un esperto in grandi corruttori quale Giannini, figuriamoci. Gli chiediamo soltanto la cortesia di spiegarci le incongruenze cui abbiamo accennato. Ci piacerebbe capire.

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