La leggenda di don Salvatore

Statura bassa, astuzia altissima. Partito dal progetto di un garage ha raggiunto la vetta dell'Olimpo capitalistico

La leggenda di don Salvatore

La moda giudiziaria ha inaugurato un nuovo filone: l'arresto in formato familiare. Si prende una famiglia intera e la si sbatte dentro in attesa di giudizio. Con il tempo e con la paglia maturano anche le nespole, figuriamoci se non maturano le confessioni. Ne sa qualcosa Salvatore Ligresti - nome noto - che già nel lontano 1992 fu fatto accomodare a San Vittore, carcere milanese, per una storia di tangenti. In quegli anni usava così: l'imprenditore versava miliardi ai partiti e questi ricambiavano la cortesia assegnandogli appalti redditizi. Gli affari sono affari, pecunia non olet, e i politici incassavano. Le imprese prosperavano e i cittadini pagavano di tasca loro. E poi c'è chi rimpiange la Milano da bere... La memoria a volte combina brutti scherzi.

Sia come sia, Ligresti andò in galera e ci rimase quattro mesi senza dire una parola, come si conviene a un siciliano verace, quale lui è, essendo nato a Paternò nel 1932. Ora non è tornato a San Vittore. Data l'età, 81 suonati, pur non essendo pien de malàn, gli spettano gli arresti domiciliari. Sorte diversa è toccata ai figli. Jonella, pupilla di papà, amazzone di qualche talento, era in vacanza in Sardegna e lì è stata arrestata e trasferita nel carcere di Cagliari. Giulia era qui, nel capoluogo lombardo, ed è finita nella prigione cittadina. All'appello ne manca uno, il maschio, Gioacchino Paolo, che è in Svizzera, quindi ricercato e in procinto - si vocifera - di costituirsi.

Con tutta la famigliola, anche alcuni dirigenti del gruppo sono stati arrestati. Una «strage» dalla quale si è salvata soltanto la signora Antonietta Susini, detta Bambi, consorte dell'ingegner Salvatore, che non ricopriva ruoli nelle aziende controllate dal marito. Quali reati sono attribuiti al «clan»? Roba finanziaria. Bilanci alterati, quattrini (centinaia di milioni) passati in cavalleria. Ovviamente, non ci addentriamo nelle questioni giudiziarie, dato che non conosciamo i dettagli e, anche se li conoscessimo, non ci capiremmo ugualmente un tubo, poiché la materia è ostica perfino ai magistrati, immaginate a noi.

Ciò che sorprende è il ricorso alla carcerazione preventiva in massa: tante persone private della libertà prima ancora che siano terminate le indagini.
Conosciamo la spiegazione tecnica: pericolo di fuga, pericolo di inquinamento delle prove, possibilità che i reati vengano reiterati. Ma se i fatti criminosi sono stati commessi anni fa, forse i signori Ligresti hanno già provveduto a confondere le acque; difficile inoltre che continuino a delinquere, visto che per l'accusa il denaro è già stato sottratto; e se proprio avessero voluto fuggire avrebbero tagliato la corda da un pezzo.

Non siamo avvezzi a percorrere le vie tortuose della giustizia e ci arrendiamo alla logica dei Pm, cui va la nostra stima, se non altro perché essi ci terrorizzano anche in effigie. Occorre sottolineare che il capostipite, l'ingegnere, è un personaggio mitologico che ha ispirato varie leggende. Per raccontarlo bisogna prescindere dalla realtà documentata e attenersi ai «si dice». Per esempio, si mormora che egli fosse figlio di un benestante, pertanto non avrebbe avuto problemi a farsi pagare gli studi classici dal padre e l'università a Palermo, biennio di ingegneria. Superato il quale, gli fu offerta l'opportunità di completare il corso in un ateneo del Nord, più qualificato. Salvatore scelse quello di Padova, ancora oggi considerato il migliore d'Italia in campo scientifico, e qui si laureò. Inutile dirlo: brillantemente.

Poi traslocò a Milano che, negli anni Cinquanta, si preparava al boom economico. Ligresti, con cui spesso chiacchieravo quando abitavamo nello stesso edificio (costruito da lui, manco a dirlo), mi confidò le sue tribolazioni all'inizio di carriera. Il guaio è che non disponeva di capitali a sufficienza per buttarsi a capofitto nel business. Non si demoralizzò. Si rivolse a una banca e nel giro di qualche mese fece il primo colpo, progettando un grande garage. Guadagnò parecchi denari. E da lì cominciò la sua ascesa, rapida e inarrestabile. Il giovin professionista si segnalò negli ambienti che contano, ai quali si avvicinò e da cui non si allontanò più.

I suoi interlocutori erano tipi come Enrico Cuccia, per citarne uno, siciliano come lui. Un caso? Probabilmente sì. Ma questo bastò ad alimentare le voci: i siculi si intendono subito, parlano lo stesso linguaggio scarno e badano al sodo. Ligresti, per farla breve, non tardò a raggiungere le vette dell'Olimpo capitalistico. Ogni palazzo che si costruiva a Milano o era suo o non era importante. Statura bassa, intelligenza alta, astuzia altissima, l'ingegnere era guardato con ammirazione e invidia dai notabili milanesi. Essendo molto liquido, acquistò partecipazioni nelle società più quotate: Mediobanca, Pirelli, Corriere della Sera e similari. Per tacere delle assicurazioni, dove poi è inciampato dando luogo alle sue ultime disgrazie in via di drammatico sviluppo.
Stando sempre alla leggenda, cui si ispirano i biografi degli uomini che hanno compiuto miracoli (e birichinate) in campo economico, Ligresti nel 1981 ebbe una grana pazzesca in casa. La moglie Bambi fu rapita. I sequestratori chiesero miliardi per rilasciarla. Si ignora se il marito abbia intavolato una trattativa con loro, sta di fatto che un mese più tardi la moglie tornò a casa in perfetta forma. Non vi è certezza, ma pare che egli abbia sborsato 600 milioni di lire, che i percettori, però, non ebbero modo di godersi. Sempre secondo la leggenda, e sottolineiamo leggenda, essi infatti non camparono a lungo: uno dopo l'altro morirono. Effetto di una maledizione celeste? Circostanze casuali? Malattie? Mistero. Non un solo bandito, si sussurra, riuscì a invecchiare.

Di fronte alle avversità della vita, Salvatore non è mai indietreggiato. Abbiamo rammentato il suo arresto nel 1992 nell'ambito dell'inchiesta Mani pulite. Patteggiò e scontò la pena, due anni e rotti, ai servizi sociali. Nel frattempo le sue aziende zoppicavano. Niente paura. Tornato dietro la scrivania, egli le risollevò alla solita maniera. Con coraggio. Fin troppo. Forse sconfinando nella temerarietà, Ligresti riallacciò i rapporti con la finanza, li rinsaldò, si impegnò nel settore assicurativo e del cemento. L'impero sembrava indistruttibile e destinato ad arricchirsi col supporto dei figli.

A Jonella fu conferita la laurea honoris causa dall'Università di Torino per meriti scientifici acquisiti nella gestione delle compagnie assicurative. Sul più bello, quando cioè la cerimonia, dopo la lectio magistralis, si avviava alla conclusione, giunse la notizia funesta: il ministro Fabio Mussi (comunistissimo) aveva annullato il valore legale del diploma. Una botta così avrebbe stordito un toro. Non la famiglia Ligresti, che la assorbì senza scomporsi. Stile siciliano.

Per digerire l'amaro boccone, Salvatore comprò una tenuta in Toscana dove si produce un vino eccezionale, che una sera ci fece assaggiare

apparecchiando un tavolo di mescita in redazione. Degustazione indimenticabile. Mentre scriviamo, ci riferiscono che ieri mattina, quando gli hanno notificato l'arresto, l'ingegnere non ha fatto una piega. Se la caverà ancora.

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