Due o tre cose che so di Marina B.

Dal taglio della spesa pubblica alla revisione del Fisco: Marina è la figura giusta per il futuro del centrodestra

Due o tre cose che so di Marina B.

Ecco perché Marina Berlusconi è tenuta a mostrarsi e a essere riottosa di fronte alla prospettiva del suo ingresso in politica nel caso di elezioni anticipate con il padre ristretto nella libertà personale e incapacitato giudiziariamente. Prima di tutto, uno dei grandi effetti speciali del 1994, perché Marina in campo è fenomeno paragonabile a quello, fu la sorpresa. Berlusconi fece in modo di ritardare l'annuncio, di renderlo incerto fino all'ultimo, e poi cominciò la lunga cavalcata di due decenni. La sorpresa, di cui è parte il lungo rinvio dell'annuncio e la sua copertura dietro le smentite ufficiose, impedisce il logorio, basti guardare che cosa è successo a Matteo Renzi, tanto meno pimpante e charmeur di quando era un novità fresca fresca; spunta qualche artiglio al nemico fazioso, dall'opinionista in fregola di sputtanamento per ogni cosa che si muove al pm in cerca di rogna; un lancio politico deve conservare qualcosa del marketing d'opinione, che come quello commerciale vuole appunto sorprendere con i nuovi modelli, e deve confrontarsi con le indagini demoscopiche e lo scenario politico attentamente esaminati. Inoltre, e pare sia questo il caso, non so come Berlusconi potrebbe forse - così dicono - avere un'opportunità ancora in prima persona, come candidato, e allora è bene serbare la carta del rinnovamento nella continuità per il momento giusto.
Ma ora vi dico perché non ha rivali quella candidatura oggi ufficiosamente esclusa. Mi porto avanti con il lavoro perché in fondo è il mio mestiere di giornalista che ha un'opinione precisa, e non la nasconde per ipocrisia. Il fatto che alla cacciata manu giudiziaria Berlusconi risponda con un salto di generazione, affidando alla primogenita il compito di rappresentarlo con la sua identità e personalità autonoma, ecco una notizia di rango internazionale, che farà rumore nel mondo e nel profondo dell'elettorato italiano e costituirà un felice sberleffo a quanti reclamano la fine del berlusconismo insieme con il ritiro di Berlusconi, coincidente con il suo imprigionamento, surreale soluzione faziosa in una democrazia moderna occidentale. Ci sarebbero altre soluzioni, naturalmente, a partire dal segretario, vicepresidente del Consiglio e ministro dell'Interno. Ma nonostante le capacità e le deleghe di Alfano o di altri eventuali, queste soluzioni più ordinarie, più strettamente di partito, non avrebbero lo stesso impatto di novità e non esprimerebbero fino in fondo il senso di un rilancio personale e familiare, con un cognome che trascina l'immaginazione stampato ancora sulla scheda e ancora una volta molto promettente.
Le polemiche sulla dinastia sono risibili. Dall'America dei Kennedy, dei Clinton e dei Bush all'India dei Gandhi, Nehru, Indira e ancora Gandhi, fino alla vedova di Rajiv, Sonia, le democrazie importanti di qualunque natura e latitudine sono ricche di soluzioni cosiddette dinastiche o familiari. L'importante è ovviamente la scelta popolare, un'offerta di continuità legata alla personalità della leadership messa in discussione nelle urne e ratificata o respinta dal voto. Ciò che nel mondo è una saga capace di attirare interesse politico e curiosità umana non può essere una soap senza significato nel caso italiano.
L'argomento dell'inesperienza è grottesco. Com'è finito il mito della «serietà al governo», lo slogan elettorale di un fragile governo Prodi costruito su 20mila voti di maggioranza e travolto (dalle incursioni della realtà e della magistratura di Santa Maria Capua Vetere) dopo appena due anni? Com'è finito il gavettaro Bersani, l'amministratore emiliano che si proponeva di smacchiare il giaguaro a colpi di pragmatismo e di esperienza di governo? Marina Berlusconi ha tutto per riuscire, ove ne abbia anche la voglia. È percepita per quello che è: una imprenditrice, una figura di manager aziendale cresciuta nella versione più moderna del vecchio capitalismo familiare. È ovviamente un espressione diretta e comprensibile a tutti di rinnovamento integrale: il salto di una generazione. Ma il salto è garantito dal rapporto di fiducia e di corresponsabilità con il leader osteggiato malamente e subdolamente escluso dal campo. Quella candidatura avrebbe la carica non già della vendetta ma della rivincita in una partita in cui qualcuno ha barato: sapore delizioso per il palato di noi elettori. È mulier, femmina e madre e lavoratrice, è un caso di scuola di come si possa finalmente introdurre la novità da tutti auspicata a parole, e alla fine realizzata nei fatti dai Berlusconi: una donna al timone. È giovane per l'anagrafe politica, con tanti saluti alla pretesa superiorità giovanilistica di un eventuale Matteo Renzi, per non dire di altre possibilità minori a sinistra.
È la figura idonea per una grande campagna elettorale sui temi della ripresa dell'economia, del taglio della spesa pubblica e della revisione di tutto l'impianto fiscale oppressivo in cui siamo caduti. Eppoi, come diceva Brantôme nelle Feste Galanti, cercando di rispondere alle domande sugli amanti delle signore dell'alta società: «Due valgono più di uno». Ecco: due Berlusconi valgono più di uno.
Capisco le esitazioni e i tatticismi.

Ma deve essere chiaro che coloro che hanno tentato di mettere Berlusconi fuori legge guardano alla prospettiva di una candidata che gli assomiglia e lo ama, e porta il suo nome, come a un incubo dei peggiori. Ecco perché ho cominciato a sognare.

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