I soliti moralisti che remano contro le riforme

Dal 2008 non si faceva che predicare l'esigenza di cambiare la legge elettorale e di apportare alcune modifiche al sistema istituzionale obsoleto e troppo costoso

I soliti moralisti che remano contro le riforme

Matteo Renzi non ha bisogno di un avvocato come me. Non ho inoltre alcun titolo per esercitare la professione forense né la voglia di farlo in questo Paese in cui non solo il diritto è stato ridotto a strame, ma anche la logica, la più elementare. Leggo e ascolto commenti stravaganti sull'incontro avvenuto tra il presidente di Forza Italia e il segretario del Pd. Quasi tutti sono improntati alla medesima tesi: il giovin rottamatore non avrebbe dovuto parlare con il vecchio condannato; guai, non sta bene avere a che fare con un pregiudicato.

Ai democratici di rito comunista non pare vero di poter risfoderare la questione morale ponendola al sopra della politica, in nome della quale, peraltro, parlano. I moralisti sono come i cani: gli uni agitano l'etica e gli altri la coda per attirare l'interesse su di sé. Ciascuno agita il poco che ha. In mancanza di argomenti, i progressisti, nella presente circostanza, la mettono sull'impresentabilità presunta del Cavaliere: quest'uomo - dicono - deve sparire dalla circolazione. Hanno preso per buona l'idea volgare espressa in tivù da Lucia Annunziata in una memorabile puntata del suo programma, quando la signora disse ad Angelino Alfano - poi diventato amico del giaguaro - di essere un paria, lui e i suoi amici di partito.

Lasciamo dire. Non sono importanti le chiacchiere. Conta la sostanza. Dal 2008, nel Palazzo non si faceva che predicare l'esigenza di cambiare la legge elettorale e di apportare alcune modifiche al sistema istituzionale obsoleto e troppo costoso. Tutta roba rimasta lettera morta per un motivo ben preciso: non si era mai trovato un accordo tra maggioranza e opposizione indispensabile a ottenere i numeri sufficienti, in Parlamento, allo scopo di sostituire le vecchie norme con le nuove. Risultato: stallo assoluto. Ecco perché Renzi, non appena eletto al vertice del suo partito, onde dimostrare di non essere lì a scaldare la poltrona, ha pensato di darsi una mossa. In primis, ha chiesto a Beppe Grillo di avviare con lui una trattativa finalizzata a smuovere le acque. Il guru del Movimento 5 stelle però ha risposto picche. Cosicché Matteo aveva quale alternativa solo quella di chiedere a Berlusconi, l'unico con un pacchetto di voti tale da garantire l'operatività di un'eventuale intesa. Un approccio nella speranza di sbloccare la situazione.

I due non hanno faticato a stilare una bozza approvata da entrambi. In un paio d'ore sono riusciti a fare ciò che altri politici non erano riusciti a fare in sei anni. Meritavano un applauso. Invece si sono beccati critiche infondate da parte di chi non ha giudizio ma molti pregiudizi. Ora l'Italia avrà finalmente la facoltà di darsi una legge elettorale decente, di «aggiustare» il titolo V della Costituzione (relativo alle spese regionali) e di eliminare il bicameralismo perfetto, ristrutturando il Senato.
Non sono, questi, interventi politici in senso stretto. Semplicemente saranno aggiornate le regole del gioco. Dopodiché Pd e Forza Italia giocheranno in autonomia la loro partita.

E non è detto che vinca il migliore. Il resto sono bla bla, inutili discussioni, bizantinismi, scemenze. Non sappiamo se Renzi sia bravo o no. Ma abbiamo almeno appurato che non dorme e non annega in un bicchiere di rosso antico ormai diventato aceto.

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