Una “paccata di soldi”, direbbe la Fornero. Uno sperpero scandaloso, diciamo noi. Li chiamano rimborsi elettorali ma, di fatto, sono i vecchi finanziamenti pubblici ai partiti. Sì, proprio quelli là, quelli che avete abolito diciannove anni fa. Gli sprechi hanno sette vite come i gatti. Il finanziamento pubblico ai partiti è stato formalmente abrogato con un referendum nel 1993. Un referendum che non doveva lasciare nessun margine alla furia interpretativa dei politici: il 90 per cento degli italiani aveva detto basta a questo sperpero. Una percentuale bulgara che corrisponde all'incirca a 31 milioni di elettori. Raramente così tanti italiani si mettono d'accordo. Sforzo vano. Già l'anno successivo i “finanziamenti” usciti dal Palazzo a calci nel sedere rientravano silenziosamente dalla finestra con una legge ad hoc che li ribattezzava, appunto, come “contributi alle spese elettorali”.
La mole dei rimborsi è aumentata esponenzialmente nel corso degli anni. Nel 1993 i contributi venivano calcolati moltiplicando 800 lire per il numero degli abitanti del Paese, nel 1999 il monte è stato portato a 4mila lire e poi convertito a 5 euro per ogni voto racimolato dal partito. Alla faccia dell'inflazione. Per fare qualche numero: all'ultima tornata elettorale, quella del 2008, sono stati distribuiti 503 milioni di euro ai vari partiti. Una montagna di soldi. Ma non finisce qui. Secondo la Corte dei Conti dal 1993 al 2009 i partiti hanno incassato 2.254 milioni di euro, a fronte di una spesa totale di 579 milioni di euro. Sì, perché i partiti ci guadagnano sempre e se spendono un euro ne incassano 4,5. E ai due miliardi e rotti calcolati dalla Corte dei Conti mancano i rimborsi per le elezioni europee del 2009 e regionali del 2010, per essere precisi. Una marea di soldi. Come se non bastasse, oltre al danno c'è anche la beffa. Le ultime inchieste che hanno coinvolto Luigi Lusi e Francesco Belsito, tesorieri della Margherita e della Lega Nord, hanno portato nuovamente alla ribalta il tema della trasparenza dei bilanci dei partiti e dei “rimborsi”. I due tesorieri hanno maneggiato decine di milioni di euro di soldi incassati regolarmente dai loro partiti. Una pioggia di contributi che hanno investito in modi più o meno leciti (lo deciderà la magistratura) e più o meno morali (lo decideranno gli elettori), protetti dall'opacità dei bilanci dei partiti, imperscrutabili buchi neri. Nel corso degli anni i movimenti sono diventati delle macchine fabbrica soldi e ora è arrivato il momento di chiudere i rubinetti.
Certo, anche in molti altri paesi i governi foraggiano le spese elettorali dei movimenti politici. Ma a confronto con il mare di soldi che erogano le nostre casse sono solo noccioline. Per intenderci: in Germania ai partiti vengono rimborsati 0,85 centesimi di euro per ogni iscritto nelle liste elettorali. Da noi 5 per ogni voto. Qualche giorno fa sul nostro quotidiano Vittorio Sgarbi ha lanciato una provocazione che ha raccolto molto successo tra i lettori: la vera truffa non è quella dei tesorieri, ma quella dello Stato. Uno scandalo che, specialmente in questo periodo di crisi, pressione fiscale e sacrifici economici, è diventato intollerabile.
Non sarebbe il momento di arrestare o tamponare questa emorragia di soldi pubblici dalle casse dello Stato? Se sei d'accordo con noi manda una mail al presidente del Consiglio Mario Monti e ai presidenti delle camere Renato Schifani e Gianfranco Fini per chiedere la fine di questo sperpero.
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