Addio futuro, l'arte d'arrangiarsi è leggeil commento 2

Mentre ne parliamo il tempo sarà già fuggito, impalpabile e inclemente. Come se ci odiasse, annotava il Sommo Orazio che, pur diffidando del futuro tanto da promuovere il presente, sapeva gettare lo sguardo ben al di là del trascorrere dei secoli. Ora la questione si ripropone, ma in termini che avrebbero assai deluso il Poeta, il suo motto Carpe diem e smentito l'intera biblioteca filosofica a esso connessa.
Le statistiche ufficiali hanno registrato ciò che ognuno di noi è riuscito a constatare negli ultimi anni, qualcuno persino dalla nascita, specchiandosi nel portafogli o buttando un occhio sull'erba del vicino (notoriamente assai più verde). Sono crollati i consumi, specie di mobili, gioielli e auto, convogliando su due settori assai significativi della nostra condizione: cibo (+21 per cento) e giocattoli (+28). In soldoni, rivela il Centro di ricerca Einaudi elaborando dati dell'Eurobarometro, quattro italiani su dieci vivono alla giornata. Tre non programmano il futuro della propria famiglia oltre i sei mesi. Due soltanto mantengono una gittata temporale lunga quanto una programmazione un minimo seria. Ne resta così uno: a occhio e croce trattasi dello scrivente, costretto a tenere i piedi sospesi nel vacuo presente, privo d'ancore nel passato e senza biglietto per il futuro.
Ecco, il punto è proprio questo: che ce l'hanno rubato, il futuro. Lo aveva diagnosticato già negli anni Ottanta Ulrick Beck, pronosticando la simpatica circostanza che s'accompagna a questo stato d'ansia sociale: la società torna a essere basata sul rischio, i cittadini precipitano nell'incertezza. Come si capisce, il Precario che oggi si rifugia nel presente ha poco o nulla a che vedere con il godereccio seguace oraziano, cui la brevità del tempo tutto sommato faceva un favore. Essendo il presente un dono da prendere con serena fiducia e consapevolezza di sé, vero arricchimento dell'anima. Qui invece siamo vicini alla concretezza di un Leo Biscaglia, quando rilevava: «Ieri è un assegno annullato, e domani soltanto una cambiale. Solo oggi è denaro contante». Vicinanza a suo modo fatale, considerato che il tempo non fugge da solo, ma portando via con sé il contante.
Questa è dunque la condizione dell'italiano medio, mediamente lasciato in mutande dalla crisi. Morfologicamente vicino alla condizione dei sette Greci su dieci - una faccia una razza, non a caso - che si svegliano al mattino senza sapere se la sera avranno sbarcato il lunario. Colpa della crisi economica e globale, qualcuno dice (teme o spera) fase terminale del capitalismo, capace di non risparmiare niente e nessuno, visto che persino ogni americano che si rispetti, oggi, nasce mediamente oppresso da 50mila dollari di debiti personali e 53mila di quota di debito pubblico. E non basta: la Francia pare che abbia «perso il controllo della sua economia», le borse europee sono sfibrate dalla continua rincorsa di quelle tumultuose d'Asia, mentre il debito pubblico del Giappone è salito da circa il 100 per cento del Pil a oltre il 200. Ma i Japan, almeno, continuano a stampare Yen: cosa che non mancherà di riflettersi a livello planetario secondo la nota teoria del «cetriolo globale», quello che coglie quando meno te lo aspetti, a suo tempo delineata dall'ex ministro Tremonti. Il curatore del rapporto, l'economista Mario Deaglio, sostiene che questa è la fotografia di un «nuovo volto del capitalismo», dove l'Europa «da un lato sta a galla» e dall'altro «fatica a dire dove andrà».

Non dimenticando che si tratta pur sempre del marito dell'ex ministro Elsa Fornero, la considerazione non ci sorprende. Glielo diremmo noi, dove andrà l'Europa delle formichine tedesche, se non fosse vietato ai minori.

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