Adesso Bruno fa l'agnellino: "Chiamavo l'agente pecorella solo perché avevo paura"

Santoro difende i No Tav: "Non è guerriglia ma resistenza". Poi parla il provocatore: "E' un gesto che faccio spesso, volevo interagire". Ma non chiede scusa... 

Adesso Bruno fa l'agnellino: "Chiamavo l'agente pecorella solo perché avevo paura"

Adesso Marco Bruno ci prende tutti per scemi. Da Santoro va in onda la difesa d'ufficio della rivolta No Tav. Michele mette subito le mani avanti all'inizio della trasmissione: "Quelle che arrivano dalla Val di Susa non sono immagini di guerriglia ma di resistenza alle forze ordine". Il Santoro-pensiero è questo e i suoi alfieri lo declinano fedelmente nel corso di tutto Servizio Pubblico.

L'ospite della serata è il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, che durante la trasmissione ha modo di polemizzare sia col leader No Tav Perino che con uno scatenatissimo Marco Travaglio, ma la chicca del talk show è l'intervista a Marco Bruno. Il nome non vi dice nulla? E' quello della "pecorella", il ragazzo che per un paio di interminabili minuti provoca il carabiniere in asetto antisommossa, lo sfotte, gli dice - appunto - che è una "pecorella" e gli suggerisce di impugnare la pistola. Invano. L'agente rimane fermo e immobile come una sfinge. Due ragazzi, si scoprirà in seguito; ventotto anni il provocatore e venticinque il rappresentante della Benemerita. Una sequenza catturata dalle telecamere del Corriere.it e finita su tutti i media nazionali. Un simbolo, in positivo e in negativo. In tutti i sensi. Ieri su Twitter spopolava l'hashtag "siamotuttipecorelle" e oggi i manifestanti No Tav si riunivano sotto gli scudi della Polizia belando provocatoriamente. Ecco, Santoro manda in onda la versione di Marco Bruno. Una versione dei fatti zoppicante e a tratti ridicola. Bruno ha gli occhi chiarissimi e la barba lunga, parla sommessamente e sfoggia un'espressione quasi dimessa, da bravo ragazzo cresciuto a "pane e no tav". Gli scappa un sorriso un po' sbilenco solo quando Sandro Ruotolo gli ricorda che tutt'Italia parla di lui. Anche i No Tav non disdegnano il famoso quarto d'ora di celebrità.

"Sono nato nella valle e faccio l'agricoltore", racconta Marco. "Non è stata solo una provocazione ma anche un'offesa. Ci spieghi il gesto", chiede il giornalista di Santoro. Qui inizia la tortuosa versione di Marco Bruno: "Il mio gesto è un gesto che compio spesso quando faccio i blocchi e da dieci anni che facciamo queste cose". Poi l'improbabile giustificazione: "Quando mi trovo di fronte a centinaia di forze dell'ordine armate fino ai denti, noi in dieci, in quindici, in cinquanta anche in cento seduti con le mani in alto... Per vincere la paura mi immedesimo nel mio idolo che è Peppino Impastato, cerco di essere un po' più canzonatorio. Mi avvicino ai cordoni e provo a interagire con le forze dell'ordine". Ruotolo gli fa notare che Peppino Impastato se la prendeva con la mafia e non con la polizia, ma fa scivolare in sordina quella giustificazione che sembra una nuova provocazione: "Lo faccio perché ho paura, cerco di interagire".

"Ieri ero molto arrabbiato: abbiamo un compagno all'ospedale in fin di vita", si giustifica il ragazzo. Dopo tergiversa si impappina e poi passa alla mistificazione buonista: "Poi ho visto la giovinezza negli occhi dell'agente: ha 25 anni, io ne ho 28, ha l'età di mio fratello.

E poi ho concluso con vi vogliamo bene lo stesso, noi non odiamo nessuno". Provocazione su provocazione perché il tono, lo ha visto tutto il Paese, era quello dell'arroganza di chi sa di essere impunito. E così è stato.

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