L'incontro con Abu Mazen, in calendario oggi per l'ora di pranzo, sarà una passeggiata in confronto alla riunione della Direzione Pd che Pier Luigi Bersani dovrà affrontare subito dopo.
La situazione in Medioriente è meno intricata e sanguinosa (si parva licet eccetera) di quel che promette di diventare la battaglia attorno alle primarie parlamentari del Pd. Oggi dovrebbe essere varato il regolamento, e affrontato il nodo delle «deroghe» ai parlamentari di lungo corso. E sullo sfondo aleggia ancora la pesante incognita Monti: che farà il Professore? E che effetto avrà una sua eventuale discesa in campo sugli elettori del centrosinistra? Ieri, ad alimentare la tensione interna al Pd, ci si è messo il consueto sondaggio settimanale del Corriere della Sera, secondo il quale quasi la metà (il 44%) dell'elettorato Pd auspica la candidatura del premier uscente, a fronte solo del 19% nel Pdl. Una cifra da prendere con le molle, avvertono dal Nazareno: «I sondaggi di Mannheimer hanno la stessa credibilità degli oroscopi di Branko», lo liquida un esponente della segreteria di Bersani, «senza contare che il Corriere sta tifando contro di noi». Ma ciò non toglie che la variabile Monti abbia fatto risorgere lo spettro di un nuovo '94, con Bersani nei panni di Occhetto.
Oggi lo schieramento progressista vede in pista il Pd più Sel più la lista centrista da confezionare in laboratorio per fare da «contrappeso» a Vendola, e che dovrebbe tenere insieme, sempre che si mettano d'accordo, i Moderati di Portas con Tabacci e con qualche notabile ex Ppi come il calabrese Loiero, che ha mostrato facendo vincere le primarie a Bersani di aver ancora un suo pacchetto di voti, più i fuoriusciti da Idv.
Molto dipende da come il centrosinistra riuscirà a vincere: alla Camera, ma soprattutto al Senato. È lì infatti che Bersani si gioca l'autosufficienza, e molto dipende dall'accordo Pdl-Lega in Lombardia e Veneto: se non ci sarà, Bersani potrebbe avere la maggioranza anche a Palazzo Madama, e blindare la propria candidatura alla premiership, offrendo magari al Professore il ruolo «pesante» di ministro dell'Economia. Altrimenti, c'è chi affaccia già l'ipotesi di un piano B: un passo indietro di Bersani, concordato con Monti e con la Ue, per lasciare a Palazzo Chigi il Professore per un paio d'anni (in vista magari della successione a Van Rompuy a capo del Consiglio europeo, a fine 2014) e poi subentrargli, in un quadro - si spera - più assestato rispetto alla crisi e con un Pd di governo pienamente accettato nella Ue. Mercoledì, Bersani volerà a Bruxelles per vedere proprio Van Rompuy e il presidente dell'Eurogruppo Juncker: un viaggio di «accreditamento» presso due punte di diamante del Ppe, che tifa apertamente Monti; ma anche l'occasione per un giro d'orizzonte sul futuro, che terrà conto di queste variabili.
L'attenzione di tutti nel Pd, però, è concentrata sulle primarie parlamentari: la trattativa sulle regole e sulle deroghe per i big (Bindi, Marini, Finocchiaro) è ancora in corso, e non sono pochi i parlamentari, anche di gran valore, che si stanno amaramente tirando indietro perché - come spiega uno di loro - «questo tipo di primarie dell'ultima ora manderà in Parlamento solo una pletora di consiglieri comunali e circoscrizionali con clientele, e di fedelissimi del Capo».
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