È successo tutto in pochi minuti, e chi doveva vegliare sul tema non se ne è neppure accorto. Quando la responsabile giustizia del Pd, Alessia Morani, è rientrata in aula da una trasmissione tv, il «fattaccio» si era già consumato, a sua insaputa, e il rappresentante del governo, un furibondo Sandro Gozi, la ha praticamente presa a male parole. «La catena di comando ha funzionato male», ammette Walter Verini, capogruppo in commissione Giustizia. La presidente della commissione Donatella Ferranti era a un convegno; il segretario d'aula Pd Ettore Rosato ha cercato in extremis qualcuno che intervenisse a nome del Pd per motivare il no all'emendamento, ma non l'ha trovato. Così, agli atti, è rimasto solo l'appassionato intervento a favore della responsabilità civile dei magistrati pronunciato «a titolo strettamente personale», dal vicepresidente della Camera Giachetti, renziano ed ex radicale. La cui linea, nel segreto dell'urna, è stata seguita da molti deputati. Quanti è difficile dirlo esattamente, ma le fonti più attendibili ne calcolano tra i 40 e i 50. E quelli che lo avrebbero votato, perché d'accordo sul tema, sono molti di più. «Io non c'ero perché ero impegnato altrove per il Parlamento, ma sono assolutamente favorevole all'introduzione della responsabilità civile per i magistrati che sbagliano. Avrei votato contro solo perché non credo che una riforma del genere possa essere affrontata con un emendamento alla Legge comunitaria», dice il renziano Ernesto Carbone. Ma per il governo, che pure ha nella sua agenda di riforme anche la responsabilità delle toghe, scoppia un'altra grana. Tanto che il premier è costretto ad intervenire dalla Cina per metterci una pezza: «Tecnicamente parlando è quella che si può definire una tempesta in un bicchier d'acqua», dice Renzi.
Il voto a scrutinio segreto è da sempre «l'occasione per trappoloni» e il premier si è detto colpito dal rilievo dato ad un fatto «che può capitare cento volte in una legislatura», ossia che il governo si ritrovi in minoranza. L'incidente di ieri non aiuta certo il governo, che in Senato si ritrova in affanno sulle riforme. E anche la seconda epurazione in due giorni non aiuta. Dopo Mario Mauro ieri è stata la volta di Corradino Mineo, non più tra i membri Pd della commissione Affari costituzionali del Senato. Lo ha deciso a larga maggioranza l'ufficio di presidenza del gruppo, che ha indicato come membro permanente il capogruppo Luigi Zanda. «Errore politico e segno di debolezza», secondo Stefano Fassina; «autogol di Renzi» per lo stesso Mineo.
Oltretutto è in arrivo la riforma della Pubblica amministrazione, che tocca corposi interessi delle magistrature, mentre Orlando lavora a quella della giustizia. Non a caso ieri i magistrati, dall'Anm al Csm fino alla Corte dei conti, hanno scatenato una guerra nucleare di comunicati contro l'emendamento passato alla Camera, con minacciosi avvertimenti rivolti a Pd e governo. Riecheggiati dal partito dei pm che ancora alligna nelle file Pd, anche se sempre più residuale. «Questo è un colpo di mano, un segnale vendicativo nei confronti dei pm», tuona il senatore Felice Casson. Il problema è anche la coincidenza tra il voto di ieri e la nuova stagione dell'infinita Tangentopoli, con le inchieste che colpiscono anche il Pd. E che ieri più d'uno, nel segreto dell'urna, abbia sfogato anche il malessere che questa situazione sta creando, e l'irritazione contro un premier che non «tutela» gli uomini del suo partito colpiti lo sussurrano in tanti. Ma c'è anche, assai forte, un altro fenomeno.
Che il renziano David Ermini sintetizza così: «Sulla giustizia il Pd ha avuto una mutazione genetica verso il garantismo. E la legge sulla responsabilità civile la faremo, perché anche l'Italia deve allinearsi ai paesi civili». Insomma, chiosa il franceschiniano Rosato, «il Pd non è più il partito dei giudici».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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