Un'intemerata notturna di Rosy Bindi impose come ministro della Sanità, Renato Balduzzi. Le cose - raccontano - andarono così. All'una di notte del 16 novembre 2011, la lista dei ministri era cosa fatta. La Sanità andava a Enrico Garaci, presidente dell'Istituto superiore di sanità. C'era il placet di Giorgio Napolitano e il giuramento era fissato per il pomeriggio. Mario Monti si avviava soddisfatto a dormire quando Rosy Bindi piantò la grana. La sceneggiata fu memorabile. Tanto sbraitò, che Garaci, illustre medico, fu depennato e sostituito dal giurista Balduzzi, (allora) cinquantaseienne.
Non che fosse ignoto. Ma tutta la sua limitata notorietà era dovuta al fatto di essere una creatura di Bindi. Ne era stato stretto collaboratore tra il 1996 e il 2000, quando Rosy fu ministro della Sanità nei governi Prodi e D'Alema. Renato guidava sia l'Ufficio legislativo sia la Commissione per la riforma sanitaria che imbrigliò i medici ospedalieri, inventò l'intramoenia, l'extrameonia e tutte le delizie dell'attuale sistema. Era insomma l'alter ego della virago di Sinalunga alla cui parrocchia politica apparteneva. In passato, bazzicando la Dc di sinistra, Balduzzi fu consulente di Mino Martinazzoli e Virginio Rognoni, ministri della Difesa nei primi anni '90. Oggi, dopo essere stato presidente dei laureati dell'Azione cattolica e collaboratore assiduo di qualsivoglia foglio chiesastico, è il beniamino del governo in Vaticano. Balduzzi, dunque, si presentò al Quirinale per il giuramento, allertato in extremis ad Alessandria, la sua città. Dai colleghi del nuovo governo fu guardato con curiosità. Dopo il pesante intervento bindiano, era di fatto un'eccezione: unico ministro scopertamente «politico» nella marea dei (falsi) tecnici.
A Roma, il nostro amico ha preso un appartamentino nei pressi del ministero in Trastevere, per fare casa e chiesa com'è nelle sue corde. Per via del suo bindismo, l'accoglienza alla Sanità è stata freddina. I quattro anni di Rosy, di cui tutti hanno bene impresse le sfuriate condite di orripilanti epiteti toscani, sono infatti ricordati con fastidio. Nonostante Renato sia riservato e cortese, c'è chi giura che il clima al ministero sia tornato teso come allora. A invelenire la situazione, il rientro armi e bagagli di una pletora di antichi pretoriani di fede bindiana. Quando se li sono ritrovati tra i piedi, i burocrati si sono scatenati in lazzi e frizzi: «Il ritorno dei dinosauri», «Il nuovo che avanza», «I paracarri della Bindi», eccetera. La popolarità di Balduzzi è scesa in picchiata. Subito gli è stata appiccicata l'etichetta di robot della Bindi e ventriloquo delle sue paturnie. Gli rinfacciano di essersi lasciato imporre «vecchi arnesi» come la bindiana d'acciaio Nerina Dirindin, Silvio Garattini, Antonio Fortino, Maria Giuseppina La Falce. O i vari De Giuli, Pandolfelli, Mastrocola, però meglio tollerati perché più considerati.
Partito con il piede sbagliato, le mosse successive di Balduzzi sono state guardate con diffidenza. Si temeva fosse un fondamentalista come la sua erinnica ispiratrice e che il suo cattolicesimo potesse colorarsi di integralismo. La presentazione in agosto del decreto sanitario zeppo di disposizione moralistiche e impiccione sembrò confermare i peggiori timori. La tassa sulle bollicine e le bibite zuccherate, i divieti di vendere sigarette ai minori di diciotto anni, le sale da gioco a debita distanza da scuole e chiese, parvero misure illiberali. Una specie di teologia sanitaria da società col velo. «Se scoraggiare i consumi è promuovere uno stile di vita più sobrio, non è un risultato malvagio, specie per i più giovani», si difese. Moralista sì, ma fin di bene, dunque: proteggere gli adolescenti, distogliere gli indifesi dalle tentazioni e cose così. Sull'orlo dello Stato etico. Poco da stare allegri.
Ma proprio durante il dibattito alle Camere, il ministro rivelò una natura inaspettata. Ascoltò molto e capi che i tempi non erano maturi. Così cedette su vari punti, senza preoccuparsi di apparire sconfitto. Una virtù conciliativa che gli ha conquistato diverse simpatie in Parlamento. Soprattutto, ha dimostrato che se pure sta con Bindi politicamente, ne è l'esatto contrario mentale. Tanto Rosy è un arrogante ayatollah, quanto lui è mitemente francescano.
Lombardo di Voghera, ma piemontese di elezione, Renato trascorse l'infanzia in Val d'Aosta dove il padre lavorava. Gli è rimasta la passione per le montagne e quando può corre ad Avise, sulla strada di Courmayeur, dove ha una baita. Dall'adolescenza, è vissuto ad Alessandria. Qui si è sposato con una donna che ha la sua stessa fede e le stesse passioni. Anche i tre figli sono simili. Giacomo, 28 anni, è dottorando in sociologia a Pavia. Si è laureato alla Cattolica, l'università dove il padre insegna Diritto Costituzionale. È un politico in erba. Ha già partecipato a due elezioni. Alle provinciali nel 2004 quando, diciannovenne, fu il più giovane candidato d'Italia, e alle comunali nel 2007. Ogni volta, seguendo le orme paterne, si è presentato con i cattolici del Pd, le Bindi per intenderci. In entrambi i casi, è stato trombato. Diletta, 24 anni, è universitaria. Mentre Teresa, 14 anni, è una concertista in nuce, virtuosa di pianoforte. Cornice perfetta di questa famiglia da manuale parrocchiale, è la villetta liberty in cui vivono da anni.
Prima del nido, Renato si fece le ossa con zelo. Si laureò in Legge a Genova, tanto brillantemente che la tesi fu pubblicata. Fu subito preso come assistente alla facoltà di Scienze politiche dal preside Fausto Cuocolo. Era il più giovane e lo trattavano come ragazzo di bottega o, se preferite, da ragazzo spazzola. Molto ambizioso, fu un incettatore di incarichi di insegnamento, che poi però delegava non riuscendo a svolgerli tutti. Un anno, cumulò Istituzioni di Diritto pubblico, che era la sua cattedra, Diritto pubblico dell'Economia, Diritto parlamentare e Tecniche della normazione. Questa bulimia è il maggiore ricordo che ha lasciato nella città della Lanterna. Prima di approdare alla Cattolica, ha insegnato nell'Ateneo di Torino.
Ad Alessandria, Renato partecipa con intensità alla vita cittadina. È benvoluto, perché alla mano. Ora che ha auto blu e scorta, cerca di non farsene accorgere. Contrariamente a Elsa Fornero, con la quale è stato di recente a Casale per parlare dei guai di quella città con l'amianto, che invece si pavoneggiava felice tra i gorilla. Balduzzi gira chiese, conosce le parrocchie più sperdute e ha un rapporto speciale con don Ivo Piccinini, prevosto di San Michele.
È animatore della Sagra dell'aglio di Molino de' Torti, due passi da Alessandria, vuoi per genuino interesse verso la gigliacea, che per affetto al paesino in cui possiede un minuscolo appezzamento ereditato dalla famiglia. Non gli si conoscono ombre, né vizi pubblici. Un'autentica frana, giornalisticamente parlando.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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