Qualche dubbio sulla legge Severino e sulle sue norme sulla decadenza dei parlamentari, tra i giuristi, si affaccia. La materia è delicata, e la Costituzione, all'articolo 66 parla chiaro: «Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e incompatibilità».
In più, come ha fatto notare il costituzionalista Giovanni Guzzetta, la legge Severino rispetto al caso Berlusconi avrebbe una applicazione retroattiva, visto che i fatti per cui è stata comminata la condanna risalgono a tempi ben precedenti il varo della legge. Questione che, secondo Guzzetta, «suscita notevoli dubbi sul piano della costituzionalità e di una possibile violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo».
Dello stesso parere è il professor Paolo Armaroli, che insegna Diritto pubblico e Genova: «È possibile applicare una regola per un supposto reato commesso prima dell' entrata in vigore della legge Severino? Io non sono un penalista, ma a me pare che debba valere la regola per cui non si applica sicuramente la norma meno favorevole al condannato». Altrimenti, ragiona il professore, «bisognerebbe dire che anche in campo penale c'è la retroattività della legge. Gli unici casi in cui si applica la retroattività dalla legge penale si verifica quando si passa da un regime all'altro, per esempio dal fascismo alla democrazia». Insomma, la applicazione della legge Severino e della «sopravvenuta» incandidabilità «dovrebbe riguardare i reati commessi a partire dal 2013, cioè dopo l'entrata in vigore della legge. E dovrebbe rimanere fuori ciò che è avvenuto prima».
Un altro potenziale profilo di incostituzionalità viene individuato dal professor Antonio Leo Tarasco, che insegna diritto alla Pontificia università gregoriana di Roma: se la Carta costituzionale «pone nel popolo e non nella magistratura la sovranità (articolo 1), è solo la deliberazione popolare e non quella giudiziaria il fattore ultimo che può condizionare la dinamica politica e democratica». Insomma, non può essere una sentenza a decidere della permanenza o decadenza di un eletto: «La magistratura non può annullare il voto popolare, essendo una decisione del genere sempre rimessa a ciascuna Camera di appartenenza, come recita l'articolo 66. Il giudizio parlamentare non può assumere carattere vincolato ma sempre libero e incondizionabile; diversamente, si giungerebbe per legge a legittimare un golpe per mano giudiziaria senza che il Parlamento possa difendersi».
Anche il professor Alessandro Mangia, docente di Diritto costituzionale all'Università Cattolica intervistato dal Sussidiario.net, insiste su questo punto: con il divieto di candidatura per Berlusconi in base alla sentenza Mediaset, si sancirebbe la prevalenza del potere giudiziario su quello legislativo: «finché c'è l'articolo 66 della Costituzione, la legge non può stabilire l'interruzione del mandato parlamentare senza un voto delle Camere senza violare la Carta.
E, piaccia o non piaccia, non lo può fare neanche la magistratura. Le Camere devono operare una valutazione di carattere squisitamente politico, insindacabile se non dagli elettori: il voto non può ridursi a una pura e semplice presa d'atto di quanto deciso dalla magistratura».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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