"La sinistra vuol perdere". Esperti sicuri: cosa succederà alle Regionali

Manca meno di una settimane alle Regionali nel Lazio e in Lombardia. Ecco cosa dicono gli esperti sui possibili risvolti politici di questa tornata elettorale

"La sinistra vuol perdere". Esperti sicuri: cosa succederà alle Regionali

Lo scontro politico si sposta nelle urne. Il prossimo 12 e 13 febbraio si voterà per le Regionali nel Lazio e in Lombardia. Su questo tema abbiamo intervistato Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all'università di Bologna, e Alessandro Campi, docente di Scienza Politica all'Università di Perugia.

Le Regionali sono un test politico di rilevanza nazionale?

Pasquino: “No, le Regionali sono regionali. Poi, qualcuno darà una sua interpretazione nazionale. Certo, è chiaro che il Terzo Polo non può vincere in Lombardia ed è chiaro che il M5S non vuol vincere nel Lazio. L’opposizione ha deciso che in Lombardia e nel Lazio non vuole vincere e consentirà a Giorgia Meloni di andare avanti rafforzata dalla vittoria del suo candidato nel Lazio e dal fatto che, in Lombardia, Fratelli d’Italia diventerà il primo partito”.

Campi: “Parliamo della Lombardia e del Lazio: due delle più importanti regioni italiane. Il riflesso nazionale di un simile voto è evidente, dando abbastanza per scontata la vittoria del centrodestra, soprattutto alla luce dell’insediamento, dopo nemmeno quattro mesi, del governo guidato da Giorgia Meloni. Dopo tanti bilanci contrastanti sui primi ‘cento giorni’ del suo esecutivo si capirà cosa pensano esattamente gli elettori. Capiremo ad esempio che peso hanno avuto le polemiche di questi giorni sulla stampa. La mia impressione è che sia ancora forte il vento che ha portato al risultato del 25 settembre. D’altro lato, l’opposizione non ha ancora messo in campo alcuna strategia alternativa che giustifichi un cambio di orientamento. L’aspetto più importante è che l’affermazione del centrodestra in entrambi i territori confermerebbe una geografia del voto e del potere, centrale e locale, che vede la sinistra sempre più marginalizzata”.

Un’ulteriore debacle della Lega in Lombardia potrebbe causare tensioni nel governo?

Pasquino: “Mi pare che, se uno perde e va via dall’unica posizione di potere che ha acquisito, sia una specie di suicidio. In Lombardia, la Lega non andrà bene, ma il suo candidato vincerà e, quindi, Salvini darà un’interpretazione favorevole di quello che succederà. Salvini, comunque, sa che non può andare via da questo governo e che deve starci per cinque anni, sperando che nel frattempo succeda qualcosa”.

Campi: “Il sorpasso di Fratelli d’Italia a danno della Lega mi sembra un dato acquisito, stando ai sondaggi. Certo, conterà molto il dato effettivo ottenuto dal partito di Salvini. Il quale spera di recuperare agitando la bandiera dell’autonomia differenziata. Francamente non so quanto potrà funzionare. Ciò che ha trainato in questi ultimi due anni il consenso crescente a Fratelli d’Italia è stata, secondo me, la leadership di Giorgia Meloni: un fattore personale, non questo o quel tema programmatico. È una leadership che tra gli elettori potenzialmente di centrodestra si è rafforzata da quando è andata al governo. Credo che il voto in Lombardia lo confermerà. È chiaro che una Lega troppo debole metterebbe in crisi la segreteria di Salvini, che non a caso negli ultimi tempi ha cambiato completamente strategia comunicativa rispetto al recente passato: meno presenzialista, più calato nel ruolo istituzionale, più attento agli equilibri interni al suo partito (già questo un segno della sue attuali difficoltà). Ma dubito, anche in caso di sconfitta pesante della Lega, che possano esserci effetti negativi sulla coalizione e sul governo, mancando al momento qualunque alternativa politica in Parlamento e nel Paese".

Una buona affermazione della Moratti in Lombardia sarebbe un trampolino di lancio importante per il Terzo polo?

Pasquino: "Il Terzo polo non è il terzo polo, ma forse il quarto o forse il quinto. Moratti non c'entra quasi niente con questo polo da cui è riuscita a farsi appoggiare, ma se Calenda e Renzi hanno qualcosa in comune con la Moratti è semplicemente un ego stratosferico, non molto di più”.

Campi: “Moratti ha una sua forza intrinseca nell’area milanese-lombarda. Una sua buona affermazione elettorale, pur nella sconfitta a favore di Fontana, la proietterebbe su una dimensione nazionale ma mi chiedo con che ruolo. Andrebbe ad affiancare Calenda e Renzi formando un tridente al comando. D’altro canto, una come lei non può accontentarsi di un ruolo subalterno. Il Terzo polo rischia di avere molti nomi importanti nelle sue fila, ma relativamente pochi elettori rispetto alle aspettative. Dal calo costante del Pd il partito di Calenda e Renzi non ha guadagnato granché. Così come è da escludere, in questo momento, che possa togliere voti ai moderati del centrodestra. Lo farà forse la Moratti in Lombardia, ma in virtù del suo personale profilo, non per ragioni politiche. Dubito, peraltro, che riuscirà a sottrarre consensi alla Lega pur avendo imbarcato qualche transfuga di osservanza bossiana”.

Un buon risultato del M5S nel Lazio che effetti avrebbe all’interno del centrosinistra?

Pasquino: “Un buon risultato è anche paragonato con quello che farà il Partito Democratico. riuscirà il Movimento 5 stelle ad avere più voti del Pd nel Lazio? Presumo di no e, quindi, non basterà avere un buon risultato”.

Campi: “Grillo, quando benedì il secondo governo Conte, quello della cosiddetta alleanza giallo-rossa, non nascose che il suo vero obiettivo politico era di creare un nuovo fronte di sinistra egemonizzata dal M5S e capace, in prospettiva, di assorbire l’elettorato del Pd (facendo sparire quest’ultimo). Mi sembra che Conte abbia ereditato questo progetto e si sia messo in testa di costruire un partito alternativo e concorrente al Pd sul terreno di una sinistra che in larga parte è effettivamente da rifondare. C’è un solo motivo per cui nel Lazio il M5S si è rifiutato di accordarsi col Pd, di fatto sancendo la vittoria per abbandono del ring del centrodestra: il desiderio di contarsi su una piazza che per il Pd è anche simbolicamente strategica. Chi arriva primo in questa partita darà le carte in vista di un’alleanza tra i due partiti tanto necessaria, se si vuole provare a vincere, quanto difficile da realizzare viste le reciproche diffidenze”.

Qual è l'asticella minima che, anche in caso di sconfitta in entrambe le Regioni, consentirebbe al Pd di 'salvare la faccia'?

Pasquino: “Credo che, se il Pd rimane sopra il 20%, va sempre bene. Questa è la soglia che gli serve. Sotto dipende da quanto va sotto, però, questo test non è ancora sufficiente anche perché ovviamente c’è il cambio di segretario e, poi, si ricomincia, se non da capo, almeno da metà…”.

Campi: “Non mi aspetto un tracollo del Pd né in Lombardia né nel Lazio, avendo già perso abbastanza. Il problema di questo partito, più che il voto di domenica prossima, è la strada che prenderà dopo che avrà eletto il nuovo segretario. Non è ovviamente nemmeno una questione di nome del partito da cambiare, che è la prima cosa che viene in mente quando non si hanno altre idee. Ma di linea politica, di immagine pubblica, di rappresentanza sociale, di organizzazione interna. Da questo punto di vista non basterà al Pd avere un nuovo capo politico per ripartire. Bisogna neutralizzare le correnti e i personalismi interni che sinora sono stati la tomba di tutti i segretari. Bisogna fare una scelta culturalmente chiara verso il riformismo democratico o verso una sorta di radicalismo movimentista come quello che ad esempio esprime Elly Schlein. Bisogna capire bene quali ceti e settori sociali si intende rappresentare, ora che è venuta meno l’opzione maggioritaria che era stata di Veltroni o l’idea del partito della nazione accarezzata da Matteo Renzi.

Bisogna infine rinunciare a quel ruolo di partito perno delle istituzioni, di partito-Stato, che il Pd ha sempre rivendicato per sé e che gli ha dato l’illusione di essere legittimato a governare il Paese anche quando non vinceva le elezioni. Anche quella stagione è finita. Sarà dunque un processo lungo, sul quale il risultato delle prossime elezioni regionali, tanto più se si tratterà di una sconfitta comunque annunciata, non avrà alcuna influenza”.

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