Conflitto di poteri: dalla Consulta schiaffo ai pm del caso "Open"

Sull’inchiesta a carico di Renzi, la Corte accoglie il ricorso del Senato e stabilirà se la Procura di Firenze abbia violato i suoi diritti costituzionali acquisendo messaggi protetti. "Vince la verità"

Conflitto di poteri: dalla Consulta schiaffo ai pm del caso "Open"

Si andrà fino in fondo. La Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il conflitto fra poteri, sollevato dal Senato nei confronti della procura di Firenze. È solo un primo sì, ma è un ok che pesa. La Consulta vuole entrare nel merito dell’inchiesta Open e passerà alla moviola tutte le mosse dei magistrati toscani che, secondo Matteo Renzi, avrebbero violato i suoi diritti raccogliendo mail e whatsapp protetti dallo scudo costituzionale. Nei mesi scorsi, Renzi aveva più volte sollevato il tema accusando la procura di Firenze e ora la decisione della Consulta sembra riconoscere almeno in prima battuta le sue osservazioni. Il conflitto di attribuzione fra organi dello Stato c’è tutto, par di capire, e nei prossimi mesi la Consulta analizzerà metodi e risultati dell’inchiesta. La Corte potrebbe pure stabilire che la procura abbia esagerato, invadendo il sacro campo del parlamentare tutelato dall’articolo 68 della Carta. In ogni caso, il braccio di ferro, innescato dal voto del Senato il 22 febbraio scorso, avrà uno sviluppo e arriverà a una conclusione quale essa sia: la Corte dirà nelle prossime settimane se ci sia stato uno sconfinamento della procura oppure se tutto si sia svolto regolarmente. Fra Renzi e la procura che indaga sulla fondazione Open le polemiche vanno avanti da mesi e l’ex premier ha scritto un libro, Il Mostro, recentemente aggiornato, proprio per descrivere gli abusi che avrebbe subito da parte dei magistrati. All’inizio di febbraio, la procura aveva chiesto di processare Renzi e altre dieci persone, fra cui Maria Elena Boschi, Luca Lotti e l’imprenditore Marco Carrai, amico del senatore fiorentino, accusate a vario titolo di una serie di reati: finanziamento illecito, corruzione, riciclaggio traffico di influenze. Renzi ha sempre contestato l’impostazione dell’indagine perché riscriverebbe i confini e gli spazi della politica, considerando Open non una semplice fondazione ma un’articolazione del partito, il Pd, e in pratica una corrente. Non basta, perché nel braccio di ferro c’è anche quel materiale che è finito agli atti dell’indagine: le chat e i whatsapp. In pratica, la procura di Firenze avrebbe dovuto chiedere al Senato l’utilizzo di quelle carte appartenenti a un parlamentare ma questo non è avvenuto. Il 7 ottobre 2021 Renzi aveva scritto all’allora presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati chiedendole la tutela delle proprie «prerogative costituzionali». Contemporaneamente aveva denunciato alla procura di Genova il caso, concentrandosi su alcuni dettagli: per esempio il sequestro dei messaggi trovati sul telefonino dell’imprenditore Vincenzo Manes che a sua volta aveva avuto scambi epistolari con lui. In questo modo, triangolando, la procura avrebbe aggirato la legge e recuperato dati relativi a Renzi. Insomma, per Renzi i pm non hanno rispettato le regole più elementari e hanno fatto irruzione nella sua vita di parlamentare, saccheggiandola ed esponendola ai venti dei media. Ora, dopo il primo step, la Corte dovrebbe fissare i paletti e stabilire una volta per tutte i limiti dell’azione della magistratura. Secondo i critici, la Cassazione ha riconosciuto invece che i messaggi whatsapp non rientrano nel concetto di corrispondenza e dunque non sarebbero inviolabili.

La parola passa alla Consulta per una pronuncia definitiva. E in attesa del verdetto, l’udienza preliminare di Open potrebbe essere sospesa. «Bisogna credere nella giustizia, - esulta Renzi - la verità prima o poi arriva».

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