Caro Marco,
il doppiopesismo e la doppiamorale di Giuseppe Conte sono cose arcinote. Lo abbiamo udito inveire in aula contro Matteo Salvini, poi lo abbiamo visto urlare indignato contro Giorgia Meloni, ora lo ascoltiamo fare le pulci alla segretaria del Pd Elly Schlein, scegliendo, in seguito all’inchiesta sulla compravendita di voti a Bari e alle indagini di Torino, di correre da solo sia a Sud che a Nord, presentando proprie liste e propri candidati. Una scelta che avvantaggia solamente il centrodestra e che non si rivela molto strategica per i partiti dell’opposizione, neanche per il M5s, che avrà la peggio. Ce ne faremo una ragione. Conte è un ottimo moralizzatore, ma uno di quelli che, mentre fa la predica agli altri, trascura di applicare quello che pure pretende di insegnare. Discetta di legalità, si scandalizza per l’altrui condotta, insorge contro determinati comportamenti, chiede le dimissioni dei ministri o degli antagonisti sulla base di una indagine, neppure di un rinvio a giudizio o di una sentenza, tuttavia resta muto riguardo la condanna a 8 anni e 8 mesi di reclusione nei confronti del presidente del Consiglio comunale del M5s, Marcello De Vito, nell’ambito del processo (per corruzione, finanziamento illecito e traffico di influenze illecite) sul vecchio progetto dello stadio della Roma a Tor di Valle.
Ma si sa: i cinquestelle sono onesti pure da condannati, tutti gli altri disonesti anche da indagati.
Conte si illude di potere sfruttare questo momento a proprio vantaggio, per risorgere elettoralmente in vista delle elezioni europee. Egli mira ad attrarre i voti di quella parte dell’elettorato che potrebbe sentirsi deluso dal Pd. Ma, appunto, si tratta di una mera utopia. L’ambizione sfrenata di quest’uomo lo conduce spesso a prendere determinati abbagli. Ne deriveranno altri flop, poiché i cittadini non si fanno incantare dai predicatori e, soprattutto, non sono disposti a riporre per una seconda volta fiducia in coloro che quella fiducia l’hanno tradita già una prima volta, e in questo mi trovi del tutto d’accordo con te.
Insomma, quel campo largo che avrebbe dovuto conquistare non solo la Sardegna, ma l’Italia, anzi di più, il mondo intero, quell’alleanza composta da Pd e M5s, che all’indomani delle regionali sarde ha spinto i leader dei partiti di sinistra a persuadersi di potere abbattere il centrodestra con una facilità disarmante, territorio dopo territorio, comune dopo comune, regione dopo regione, bene, quel campo non è altro che un campo minato, dove i due grandi piccoli alleati si disintegrano a vicenda, dandosele di santa ragione.
Cosa ci insegna tutto questo?
Che certi sodalizi in politica durano ben poco quando non si fondano su una comunione di intenti, di valori, di contenuti, di principi, di programmi, di proposte, ossia quando assente è un progetto politico, e l’unico collante tra gli associati diventa l’odio nei confronti di un avversario a cui si vorrebbe strappare il ruolo.
L’acredine può tenere insieme, sì, per un pochino, non oltre. Essa non è sufficiente.
Dopo poco, all’interno del gruppo, cominciano a prendere il sopravvento i soliti personalismi e partitismi, gli interessi, le invidie, il tentativo di abbattere pure l’alleato per avere la meglio anche su di lui.Ed è questo quello che sta cercando di compiere adesso Conte, facendosi passare quale leader di un partito senza macchia che non accetta di andare a braccetto con il corrotto Pd.
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