Sulle quote rosa e sulla parità di genere si fa, da qualche anno, un gran parlare. C'è chi vorrebbe garantire per legge una quota minima di donne nelle istituzioni e chi - spesso soprattutto le donne - ritiene quest'ipotesi offensiva; c'è poi chi, e sono moltissimi, non smette di lamentarsi per la scarsa percentuale di donne in parlamento. Il ragionamento parrebbe semplice e lineare, nelle parole del Presidente della Camera Laura Boldrini: le donne rappresentano la metà della popolazione italiana, non si vede perché tra Camera e Senato dovrebbero occupare in media appena un seggio su tre.
In Italia la percentuale di donne nel legislativo è del 31%: all'indomani del voto dell'anno scorso, giornali progressisti come La Repubblica salutavano il dato con soddisfazione, sottolineando come la XVII legislatura facesse segnare la più alta percentuale di sempre di parlamentari del gentil sesso. Non è ancora passato un anno, e già torna a parlare della necessità di migliorare ulteriormente queste cifre, raggiungendo addirittura la soglia simbolica del 50%. Ma davvero gli altri paesi dell'emisfero occidentale sono messi tanto meglio di noi?
Siamo andati a controllare le percentuali "rosa" nelle assemblee legislative di altri paesi con un sistema politico paragonabile a quello italiano e, sorpresa! In molti casi - e, curiosamente, soprattutto in quei paesi a torto o a ragione spesso ascritti alla scivolosissima categoria delle nazioni "più avanzate" della nostra - si scopre che nelle aule parlamentari altrui siedono molte meno donne di quante non ne ospitino Palazzo Madama e Montecitorio.
Nel parlamento del Regno Unito la percentuale di donne è addirittura di dieci punti più bassa di quanto non sia in Italia: secondo i dati ufficiali pubblicati sul sito del parlamento di Sua Maestà, ai Comuni siedono appena 147 donne su 650 deputati (il 22% del totale), mentre tra i Pari le donne sono solo 172 su 826 (il 20%). Certo, qualcuno potrebbe obiettare che la regina è donna, ma quello è un affare ereditario, e non ci sono quote rose o azzurre che tengano.
Se i sostenitori italiani delle quote rosa facessero un bel tour guidato alle camera dei Rappresentanti e al Senato degli Stati Uniti d'America, ne rimarebbero certo choccati: il parlamento a stelle e strisce ospita la miseria di 82 donne su 435 deputati alla Camera (il 18%), e 20 donne su 100 al Senato (e qui il calcolo è più facile).
Ma anche guardando ai vicini di casa, le suffragette italiane potranno tirare un sospiro di sollievo: nella civilissima Svizzera, le donne sono circa il 27%, come riporta il sito dell'Assemblea federale elvetica. Un dato che a quanto sembra non desta nessuno scandalo nella Confederazione, ma che in Italia, siamo sicuri, farebbe scorrere fiumi di inchiostro per protestare contro i pericoli di un sessismo medievale ed oscurantista.
Quella italiana è una percentuale perfettamente in linea con quella espressa dall'ultima legislatura del Parlamento Europeo, dove le donne sono esattamente il 31%. Certo, si potrebbe obiettare, l'emancipazione della donna non è garantita ipso facto da una certa percentuale di "rosa" in Parlamento: ma allora perché affidare a una legge, oltretutto votata da un parlamento che, come quello attuale, è composto da una maggioranza di uomini, il raggiungimento della parità tra uomo e donne? Non sarebbe meglio accettare che questo risultato venga conseguito con la sola forza del voto?
Ma in Italia a volte c'è la tendenza ad
estremizzare tutto: se invece del Senato avessimo la Camera dei Lord, quanto tempo passerebbe prima che qualcuno, in nome del politically correct, si facesse venire l'idea di ribattezzarla House of Lords... and Ladies?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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