Debito, disoccupati e tagli: questo Def è tutto da rifare

Renzi sembra interessato soltanto al bonus di 80 euro. E tra coperture incerte e ritardi, rischiamo lo stop Ue

Debito, disoccupati e tagli: questo Def è tutto da rifare

Martedì 8 aprile ha presentato il Def e venerdì 18 presenterà il decreto sugli «80 euro in busta paga»: questa la politica economica di Matteo Renzi. Poi si è dato alla campagna elettorale, girando come una trottola per le città italiane. Eppure le incongruenze del Documento di economia e finanza approvato dal governo preoccupano non poco. Più duro di tutti il Fondo Monetario Internazionale che ha dichiarato ufficialmente che la riduzione della pressione fiscale deve essere permanente e strutturale e altrettanto permanenti e strutturali devono essere le relative coperture, da realizzare attraverso tagli alla spesa pubblica. Ebbene, le misure contenute nel Def non sono per niente coerenti con queste prescrizioni basilari. Vediamo perché.

GLI 80 EURO IN BUSTA PAGA
Nasce come il «taglio dell'Irpef», ma con il passare dei giorni si parla sempre più di «bonus Irpef». E, in quanto «bonus», la misura non presenta i caratteri della strutturalità. Al momento, infatti, essa appare solo un'elargizione di denaro una tantum: una misura elettoralistica, inutile ai fini della crescita. E serpeggia il dubbio che sia anche incostituzionale. Per quel che si sa il bonus riguarderà solo i lavoratori dipendenti con redditi compresi tra 8.000 e 25.000. Non è chiaro cosa il governo intenda fare per i cosiddetti «incapienti». Se si considera, poi, l'aumento della Tasi, che colpisce l'80% di famiglie italiane proprietarie di prima casa, ai lavoratori dipendenti destinatari del bonus andrà via almeno metà dell'ammontare annuo di quest'ultimo. Ancora peggio andrà a chi subirà solo l'incremento di tassazione.

LE COPERTURE
Quel che è peggio è che le coperture sono fatte attraverso aumenti una tantum di tasse e non attraverso tagli strutturali di spesa, oltre ad essere tutte assolutamente aleatorie e incerte, nei tempi e nelle quantità. Il maggior gettito Iva derivante dai pagamenti dei debiti della Pa dipende da quanto lo Stato effettivamente riuscirà a pagare (se pagherà); sull'aumento della tassazione delle quote rivalutate di partecipazione al capitale della Banca d'Italia pesano i rilievi già sollevati dalla Commissione europea sull'intera operazione, nonché quelli del governatore Visco; e la natura, la descrizione e l'effettività dei 4,5 miliardi di tagli da spending review sono come la ricetta della Coca Cola: segrete.

I DEBITI DELLA PA
La prima promessa mancata di Renzi: il 12 marzo aveva annunciato il pagamento entro luglio 2014 di 68 miliardi di debiti della Pa, che si aggiungevano ai 22 già pagati dal governo Letta. Ebbene, nel Def è previsto il pagamento solo di 13 miliardi. Perché così pochi? Su questo argomento il governo glissa. Passiamo al secondo punto critico: il gettito Iva che ne deriva e che il governo intende utilizzare come copertura per il bonus Irpef. Perché possa realizzarsi, infatti, il maggior gettito Iva richiede la preventiva identificazione di debiti liquidi ed esigibili delle pubbliche amministrazioni. In ogni caso, si configurerebbe non come afflusso di risorse nuove, bensì come anticipazione di somme che sarebbero entrate comunque nel bilancio dello Stato.

TASSE SU QUOTE BANKITALIA
Lo ha detto in maniera molto chiara il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, lo scorso sabato: «Il raddoppio della tassazione sulle quote di Bankitalia può avere un impatto che riguarda sicuramente la disponibilità dei fondi con cui le banche fanno credito».
Significa che le banche si rivarranno dell'aumento di tassazione sui clienti, aumentando il costo del credito. Leggi: credit crunch. Forse a questo Matteo Renzi non aveva pensato.

LA SPENDING REVIEW
Basta dire che i dirigenti pubblici guadagneranno, al massimo, come il presidente della Repubblica? E ancora: quanto valgono quei tagli? Si è parlato di 400 milioni. E i restanti 4,1 miliardi annunciati, da dove verranno fuori?
Il governo nel definire i nuovi tagli dovrebbe contestualmente chiarire come effettuare quelli già disposti in precedenti provvedimenti normativi, che ancora attendono di essere implementati. Se ciò non accadrà, prefigurare il ricorso a tagli di carattere lineare della portata annunciata da Renzi equivarrebbe ad esporre a gravi rischi il quadro di finanza pubblica.

LA DISOCCUPAZIONE
Ricordiamo tutti le mirabolanti dichiarazioni del presidente del Consiglio da Londra il 1° aprile: «Vedrete nei prossimi mesi come il cambiamento nel mercato del lavoro porterà l'Italia a tornare sotto il 10% nel tasso di disoccupazione». «Entro il 2018», aveva rettificato poi Renzi. Nel Def il tasso di disoccupazione previsto per il 2018 è l'11%: seconda promessa mancata di Renzi, dopo quella, che abbiamo già visto, dei pagamenti dei debiti della PA.

LA CRESCITA
Nel Def, il governo colloca la crescita del Pil italiano per il 2014 a +0,8%, contro il parere della Commissione europea, che stima +0,6%. Non è chiaro se l'ipotesi prevista dal governo risponda alle tendenze spontanee dell'economia o non incorpori, invece, i possibili effetti del «bonus Irpef» per i redditi più bassi.
Fino a quando non ci sarà il decreto, annunciato per venerdì prossimo, qualsiasi valutazione sull'attendibilità del dato sulla crescita del Pil italiano non può che essere sospesa, con il rischio di dover rivedere a ribasso quello 0,8% su cui si basa tutto l'impianto macroeconomico del Def.

IL DEFICIT STRUTTURALE
Tasto dolente. Il dato più grave di tutti: il deficit strutturale. Un numero: -0,6% nel 2014, raddoppiato rispetto al -0,3% delle ultime previsioni governative dello scorso settembre. Significa che non solo non rispettiamo il principio del pareggio di bilancio previsto dalla nostra Costituzione (indebitamento netto strutturale/Pil = 0%), ma non siamo neanche in quella banda di oscillazione di mezzo punto concessa dal Fiscal Compact.
Ne deriva che il governo deve sentire la Commissione europea per avviare una complessa procedura in cui siano evidenti le cause che hanno determinato lo scostamento e definire un conseguente piano di rientro. L'ha fatto Renzi? E a quali «eventi eccezionali», gli unici che potrebbero giustificare lo scostamento, farà riferimento?

IL DEBITO PUBBLICO
L'ultima chicca. Non meno grave delle altre. Il Def approvato dal governo contiene dati relativi al rapporto tra debito pubblico e Pil rivisti in enorme rialzo rispetto alle previsioni di settembre: nel 2014 esso sale al 134,9% dal 132,8% (+2,1%), nel 2015 al 133,3% dal 129,4% (+3,9%) e nel 2016 al 129, 8% dal 125% (+4,8%).
E dire che la disciplina europea prevede che questo rapporto segua un percorso di riduzione della differenza tra il livello del debito nazionale (abbiamo visto 134,8% nel 2014) e la soglia europea (60%) di 1/20 all'anno. E dire che nell'ultima comunicazione del 5 marzo 2014, la Commissione europea aveva ricordato all'Italia «la necessità di ridurre l'elevatissimo rapporto debito pubblico/Pil ad un ritmo adeguato». Il Def non ne tiene conto in alcun modo.

Evidentemente il governo fa orecchie da mercante. E a Matteo Renzi basta fare campagna elettorale. Si è tolto il peso dell'approvazione del Def in Consiglio dei ministri e sembra che l'argomento non lo interessi più. Il provvedimento seguirà il suo iter in Parlamento e a lui poco importa se i conti pubblici italiani sono a rischio.

Ora ha in mente solo la presentazione del decreto sul bonus Irpef di venerdì e con quello spera di vincere le elezioni europee. Dei problemi che da esso possono derivare non vuol saperne. A noi il compito di svelare l'imbroglio e di riportare gli italiani alla realtà.

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