La decadenza di Berlusconi non è automatica. I dubbi dei costituzionalisti

Secondo il testo della legge Severino, la decadenza deve essere comunque deliberata dal Parlamento. Giuristi e costituzionalisti esprimono dubbi sulla costituzionalità

La decadenza di Berlusconi non è automatica. I dubbi dei costituzionalisti

Nonostante il mondo della sinistra e quello grillino da giorni pongano come primo punto del dibattito politico (considerandolo una pura formalità tecnica) quello della decadenza di Silvio Berlusconi, giuristi e costituzionalisti hanno cominciato a far notare che, in realtà, la questione non è poi così chiara. Nel senso che ci sono diverse interpretazioni sulla legge Severino e nel senso che lo stesso testo non dà per scontata e automatica la decadenza dalla carica ricoperta.

Infatti, come ha rilevato l'Huffington Post, mentre nella formulazione originaria si parlava di "decadenza di diritto dalla carica, che viene dichiarata dalla Camera di appartenenza”, in quella finale viene scartata la possibilità che le Camere possano semplicemente ratificare la decadenza e vengono eliminate le parole "di diritto” e “dichiarazione di decadenza”, sostituite con un riferimento all'articolo 66 della Costituzione ("Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”). Insomma, se prima la Camera si doveva limitare a prendere atto della sopraggiunta decadenza e incandidabilità, adesso spetta al Parlamento l'ultima parola.

In questi giorni diversi esperti in materie giuridiche hanno palesato dubbi nonché rischi che una eventuale dichiarazione di decadenza dalla carica senatoriale del Cavaliere possa violare la Costituzione o la Convenzione europea dei diritti dell'Uomo. Costituzionalisti come Guzzetta, Tarasco e Armaroli hanno posto scetticismo sul fatto che "la legge Severino rispetto al caso Berlusconi avrebbe una applicazione retroattiva, visto che i fatti per cui è stata comminata la condanna risalgono a tempi ben precedenti il varo della legge". Per Leo Tarasco, “la magistratura non può annullare il voto popolare, essendo una decisione del genere sempre rimessa a ciascuna Camera di appartenenza, come recita l'articolo 66“.

Sulle colonne del Corriere della Sera, Michele Ainis ha posto invece l'accento sul fatto che la politica ha fatto un passo indietro rinunciando all'immunità parlamentare nel 1993 e ha evidenziato come, con le vecchie regole, sul caso Berlusconi avrebbe deciso il Parlamento. Il costituzionalista invoca una netta separazione tra poteri, magistratura e politica in questo caso. Sempre sul Corriere, Piero Alberto Capotosti, presidente emerito della Corte costituzionale ha spiegato: "Che la cosiddetta legge Severino non possa essere retroattiva o debba scattare l’indulto, come l’onorevole Sisto ha sostenuto sul Corriere, non è un’eresia. Io non la condivido. Ma la norma è nuova, priva di giurisprudenza consolidata, vale la pena ragionarci. Fermo restando poi che su questo tema il Parlamento è sovrano".

Il membro del Csm, Nicolò Zanon, ha sollevato invece dubbi sulla costituzionalità della legge Severino e ha rivendicato il ruolo del Parlamento, che "non è chiamato ad emettere atti

dovuti", anzi, "la Giunta prima e l'aula poi si esprimono in piena discrezionalità politica". Insomma, coloro che spingono sull'acceleratore per la decadenza del Cavaliere forse è bene che non diano nulla per scontato.

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